Ma perché Amnesty International fa l’avvocato dell’aborto?

Dopo l'Irlanda, la Polonia. La lettera del segretario dell'associazione Salil Shetty contro la proposta di legge che tutela il diritto alla vita dei bambini non nati

Amnesty International torna a difendere l’aborto. Sono passati molti anni dal 1960, quando l’organizzazione prese vita con lo scopo di proteggere i prigionieri politici in tutto il mondo. Non è raro ormai vedere i suoi attivisti impegnati in battaglie lontanissime da quel nobile intento. Dopo la campagna contro la legislazione antiabortista dell’Irlanda, dipinta in uno spot come un retaggio oscurantista della Chiesa cattolica, Amnesty ha deciso infatti di mettere nel mirino per lo stesso motivo anche la Polonia. A finire sotto accusa in particolare la legge di iniziativa popolare che mira a rendere illegale l’aborto in tutti i casi, tranne quelli in cui la vita della donna sia in pericolo.

LA LETTERA. Il testo proposto, per il quale sono state raccolte in poco tempo le 100 mila firme necessarie alla presentazione in Parlamento, è l’esito di un episodio scandaloso emerso due mesi fa, in cui un bambino sopravvissuto a un aborto era stato lasciato morire dopo avere urlato a lungo su un tavolo della sala parto di un ospedale. Il voto è previsto per il prossimo ottobre e il segretario generale di Amnesty, Salil Shetty, ha scritto al primo ministro polacco, Beata Szydlo, per ammonire che «questa proposta vìola i diritti delle donne e delle ragazze, incluso il loro diritto alla vita, alla salute e di essere libere dalle torture e da altri crudeli, inumani e/o degradanti trattamenti o punizioni (o altri maltrattamenti), così come il loro diritto alla privacy, informazione, uguaglianza e non discriminazione».

I MEDICI. Al fatto che la proposta di legge salverebbe anche tante vite, l’associazione non fa il minimo cenno. Amnesty si concentra invece sul fatto che la norma incriminerebbe, insieme a chi costringe le donne ad abortire, anche i medici che effettuano l’intervento. Ignorando però che nel testo sono esplicitamente fatti salvi i casi in cui l’aborto è compiuto allo scopo di salvare la vita della madre. Con la legge in preparazione, scrive infatti Shetty, verrebbe minato anche «il diritto e la capacità degli operatori sanitari di fornire servizi sanitari salva-vita e di protezione della salute di cui le donne e le ragazze hanno bisogno e a cui hanno diritto ad accedere».

IL PRETESTO DEI “DIRITTI”. Come ha già fatto in Irlanda, dunque, anche per la Polonia Amnesty gioca in chiave pro aborto la carta del diritto alla vita e alla salute delle donne. Ma proprio la realtà dell’Irlanda, dove l’aborto è vietato, smentisce la tesi dell’associazione: nel paese si verifica il minor numero di morti materne, con 3 decessi su 74.976 parti (un tasso di mortalità di 4 su 100 mila nati). Mentre in altri paesi dove l’interruzione volontaria di gravidanza è protetto dalla legge le donne muoiono con una frequenza molto maggiore: in Francia il tasso di mortalità è di oltre 10 ogni 100 mila nati all’anno, mentre gli aborti sono 220 mila. La contraddizione, sottolineano i sostenitori della riforma, è che Amnesty combatte l’uso del cloruro di potassio per uccidere i condannati a morte perché potrebbero sentire dolore, ma accetta l’uso della stessa sostanza per uccidere i bambini nel grembo materno.

«COME I COMUNISTI». Secondo il segretario Shetty la Polonia sta violando i suoi «obblighi internazionali, regionali e nazionali», ma la proposta di legge, che non condanna le madri a meno di circostanze particolari, mira solo a salvare i bambini. Come si fa a supportare la mattanza dell’aborto e affermare nello stesso tempo che si è contrari alla tortura? Se lo è chiesto Mariusz Dzierzawski, membro della Right to Life Foundation polacca, ricordando che la missiva di Amnesty è paradossale quanto «i documenti ingannevoli e doppi spediti dai comunisti», perché così come l’Unione Sovietica chiamava “lotta per la pace” l’annientamento dei nemici, ora Amnesty «chiede l’omicidio dei bambini nel grembo materno chiamandolo “lotta per i diritti umani”».

@frigeriobenedet

Foto Ansa

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