Amicone ha portato grinta e brio nella Chiesa

Roberto Formigoni sul Riformista: Luigi è stato la fantasia al potere. Don Giussani, il garantismo, le battaglie in tv

Pubblichiamo, per gentile concessione, il ricordo di Luigi Amicone che Roberto Formigoni ha scritto sul Riformista

Di che pasta fosse la personalità di Luigi Amicone se ne sono resi conto anche quelli che non lo conoscevano quando, nel pieno della bufera politico-mediatico-giudiziaria che mi aveva investito, dedicò una copertina di Tempi a Formigoni presidente di Regione Lombardia e alle sue realizzazioni politiche e amministrative. Tanti mi erano rimasti vicini in quei giorni difficili, ma un conto è fare sentire la propria vicinanza a livello personale e privato, altro è impegnare la propria reputazione, mettere in gioco l’opera in cui sei pubblicamente impegnato per sostenere un amico in difficoltà. Per amicizia e per amore della giustizia. Luigi Amicone era un cattolico ciellino che non si faceva problemi a passare da Luigi Giussani, il sacerdote che, ricambiato, tanto lo aveva amato e valorizzato, all’ateo devoto Giuliano Ferrara all’ateo-ateo Marco Pannella non per amore del garantismo (che pure apprezzava), ma per amore della giustizia e della libertà.

Ad Amicone si attagliava perfettamente una tipica espressione giussaniana: “ingenua baldanza”. Aveva l’aria dell’eterno ragazzino, facile alla battuta tagliente e alla risata fra amici, ma la serietà del padre di famiglia che trascorre tutta la vita con la stessa donna e con lei mette al mondo sei figli coi quali si batte e combatte fino alla fine (storie raccontate nel suo libro Le avventure di un padre di famiglia); la serietà del giornalista imprenditore che, rimasto disoccupato, si lancia in un’avventura un po’ folle come quella di creare senza soldi un settimanale di ambizioni nazionali, Tempi, perché tutti i ciellini e tutti coloro che in Italia amavano la libertà avessero una voce che parlava a loro e di loro. Tempi incarnava davvero la sua apertura totale e la sua curiosità sconfinata: c’era tutto, dai giudizi politici provocatori e raffinati alle storie commoventi di gente comune.

Pur essendo entrambi ciellini, a causa della differenza di età di quasi dieci anni non abbiamo condiviso molte esperienze formative comuni, ma ci siamo sentiti e visti infinite volte quando lui era direttore e io deputato nazionale o presidente di Regione. Mi telefonava o chiedeva di venire a trovarmi. Mi poneva domande, e io rispondevo nel modo più aperto e impegnativo possibile. Allora lui veniva fuori con le sue considerazioni, le sue intuizioni, le sue visioni che sparigliavano le carte. Ed io ero contento di avergli dato appuntamento, cercavo sempre di darglielo perché sapevo che ci avremmo guadagnato entrambi. Non erano mai incontri banali e non erano mai discorsi scontati. La stessa filigrana dei suoi interventi su Tempi o su altri giornali o in tivù: potevi essere d’accordo o in disaccordo con lui, ma sempre ti meravigliavi delle sue argomentazioni, degli spunti che sapeva trovare. Non ho problemi ad ammettere che da lui ho imparato, più di una volta.

Non aveva paura di confrontarsi con nessuno, accettava gli inviti nelle trasmissioni-trappola di Michele Santoro e di Gad Lerner e si batteva come un leone, dava e prendeva artigliate senza mai tirarsi indietro. Leggeva e aveva letto in gioventù tantissimo e, come ha scritto Jack Kerouac, «di tutto parlava – e io aggiungo: scriveva- con nervosa intelligenza».

Negli ultimi anni, liberato della direzione di Tempi, scriveva quotidianamente note politiche sulla situazione nazionale o su quella di Milano con la consueta passione, ed era una delle prime cose che io leggevo la mattina, perché erano sempre commenti centrati e ficcanti.

Per queste, e per tante altre ragioni, non gli si poteva non volere bene. Tanto più quando, lui e il suo successore alla guida di Tempi Emanuele Boffi, si sono prestati a fare da tramite fra me, ristretto nel carcere di Bollate, e i tanti amici che da tutta Italia mi scrivevano e ai quali facevo fatica a rispondere. Sul settimanale si parlava della mia condizione e si sono pubblicate alcune mie lettere, che mi permettevano di raggiungere tutti. Ci mancherà la sua intelligenza vivacissima, la sua capacità di provocare, la sua personale traduzione in realtà dello slogan sessantottino “la fantasia al potere”.

Il destino ha voluto che la sua scomparsa coincidesse con quella di un altro grande amico e collaboratore, Raffaele Tiscar, che con me ha condiviso responsabilità nel parlamento italiano e in Regione Lombardia, un manager di grandi capacità e un politico di grande intelligenza. Appena un mese fa è tornato alla casa del Padre un altro grande amico, Pier Alberto Bertazzi, un uomo che ha fatto molto per me fino alla fine e che è la persona all’origine del nome “Comunione e Liberazione”. Con tutte queste coincidenze, non posso non pensare che il Signore ci sta chiedendo qualcosa di grande e di misterioso. Dio non permette nulla che non possa essere un bene per i suoi fedeli. Dio sta chiedendo la nostra conversione, sta chiedendo la mia conversione.

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