Perché l’America non vuole vedere i rapporti tra Arabia Saudita e terroristi?

La strategia del ricco paese arabo consiste in finanziamenti a gruppi religiosi radicali in cambio di supporto per raggiungere la supremazia. Lo spiega Michael Horton sull’American Conservative

Nessun paese al mondo ha contribuito alla diffusione dell’islam radicale quanto l’Arabia Saudita. Lo scrive Michael Horton su American Conservative, sostenendo che per molti anni la nazione dalle immense fortune economiche basate sul petrolio ha finanziato, attraverso istituzioni pubbliche o private, numerose organizzazioni volte a diffondere le interpretazioni più intransigenti dell’islam. Il wahhabismo, predicato dagli imam finanziati dall’Arabia Saudita, sta così spazzando via le altre correnti islamiche in diversi paesi (Yemen, Somalia, Egitto, Siria e Iraq). Questa strategia, scrive Horton, consente all’Arabia Saudita di assicurarsi l’influenza sui paesi del Medio Oriente e del mondo musulmano, una strategia che ha finora goduto di grande successo grazie alla complicità degli Stati Uniti.

STORIA E PRESENTE. La stessa Arabia Saudita nacque proprio grazie al radicalismo islamico. La loro alleanza risale al 1744, quando l’emiro Muhammad ibn Saud strinse un accordo con il teologo e fondatore del wahhabismo Muhammad abd Bad al-Wahhab: l’allora primo Stato Saudita avrebbe abbracciato la visione puritana dell’islam in cambio del sostegno del potente imam nella battaglia per la supremazia. I sauditi, non essendo discendenti del profeta Maometto, hanno così fatto affidamento sugli imam della famiglia al-Wahhab per investirsi della legittimità religiosa. Ibn Saud riuscì ad assoggettare la maggior parte della penisola araba grazie ai guerrieri wahhibiti, che combattevano per eliminare le altre tradizioni religiose considerate eretiche, e nel 1932 nacque la nazione dell’Arabia Saudita.
Nel paese la massima guida religiosa è il Gran Mufti, una figura molto influente nella politica saudita. La precedente guida, Abd al-Aziz ibn Baz, era famoso per le sue credenze arcaiche, tra cui la negazione che la Terra ruoti intorno al Sole. L’attuale Gran Mufti, Abdul-Aziz ibn Abdullah al ahs Sheik, ha ordinato tramite le fatwa (proclamazioni religiose) la distruzione delle chiese nella penisola araba, la legittimità di prendere come spose le bambine di dieci anni, la proibizione di giocare a scacchi e ha accusato di apostasia l’intera popolazione iraniana.

PETROLIO E POVERTÀ. Horton sottolinea che questa impostazione religiosa non può che frenare la modernizzazione e il progresso del paese. La produzione dell’Arabia Saudita è limitata e l’economia si basa quasi interamente sull’esportazione del petrolio. Ma nonostante la sua ricchezza, l’Arabia Saudita si trova davanti ad un aumento della popolazione, del livello di povertà e della disoccupazione. Dal momento che molti altri paesi del Golfo si trovano nella stessa situazione, il paese dipende fortemente dai lavoratori stranieri, soprattutto per gli impieghi di alti livelli che richiedono profonde competenze tecniche. Alle criticità interne si somma la percezione della minaccia iraniana. L’Iran si trova in una situazione differente e più vantaggiosa: possiede una considerevole forza militare, un settore manifatturiero relativamente vivace e una crescente classe media ben istruita. Dall’invasione americana dell’Iraq, ora l’Iran esercita una forte influenza anche sul territorio iracheno.

IL PROGETTO SAUDITA. I problemi interni non affrontati e il timore di subire l’influenza iraniana, scrive l’esperto, hanno portato l’Arabia Saudita a intraprendere una politica estera sempre più aggressiva e ad aumentare gli interventi in campo culturale e religioso. Oggi in molti paesi musulmani gli edifici religiosi non islamici vengono distrutti e le donne sono costrette a portare burqa o niqab, ma oltre a impartire doveri e divieti le organizzazioni islamiste, appoggiate dai saudite, elargiscono anche privilegi: forniscono materiali religiosi gratuiti o scontati, elargiscono borse di studio per frequentare scuole in Arabia Saudita, concedono microcredito a chi si professa seguace dell’islam di stampo saudita. Questa strategia, spiega Horton, gioca a vantaggio del progetto dell’Arabia Saudita: soddisfa gli imam e al contempo creano una sorta di rapporto clientelare con le popolazioni del mondo musulmano.

FINANZIARE IL TERRORISMO. Con il rafforzarsi della minaccia iraniana, l’Arabia Saudita è passata al finanziamento di gruppi armati affiliati ad organizzazioni terroristiche come Al Qaeda. Gli Stati Uniti però, scrive Horton, hanno ignorato il ruolo svolto dall’Arabia Saudita nel favorire l’ideologia radicale, considerando i loro interventi in paesi come lo Yemen o la Siria non più che avventati interventismi. In realtà, in Yemen gli aerei sauditi hanno bombardato ospedali, imprese agricole e campi profughi, ma assai raramente le fortificazioni del gruppo terroristico legato ad Al Qaeda (l’Aqap), che per un anno ha governato la città portuale di Mukalla indisturbato. L’ambiguità dell’Arabia Saudita su questo fronte, sostiene l’esperto, si spiega con il fatto che Arabia Saudita e Aqap combattono un nemico comune, il movimento ribelle Houthis.

POTENZA MINACCIOSA. Questa intenzionale ambiguità si è manifestata anche più recentemente, quando l’Arabia Saudita e il suo alleato, gli Emirati Arabi Uniti, hanno attuato un blocco economico sul Qatar accusandolo di finanziare gruppi terroristici. Ma ancora l’America, sottolinea Horton, sembra non vedere la volontà dell’Arabia Saudita di trasformarsi da un soft power a una potenza minacciosa, con il rischio che la regione già più turbolenta al mondo precipiti nel caos trascinando con sé altri paesi.

Foto Ansa

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