Altro che Proust, a rimanere chiusi sugli scaffali sono i libri di cucina

Seduti sul divano i telespettatori fanno zapping tra i canali ricolmi di programmi di cucina. Lo scopo è imparare i trucchi per fare dei perfetti soufflé in una sola lezione e la convinzione è che basti guardare. Ma poi, quante volte succede di cimentarsi nella ricetta vista fare con maestria dal cuoco televisivo? Lo stesso si potrebbe dire per i libri di cucina. I lettori sono tutti convinti che comprare un libro di Jamie Oliver basti per spingerli a preparare un filetto alla Wellington cucinato in modo succulento. Il più delle volte invece il libro rimane chiuso e si continua ad andare avanti a surgelati.

INTIMIDATORI. Alla Waitrose, grande magazzino inglese riservato alla gastronomia, hanno fatto un sondaggio tra i propri acquirenti, per sapere quanto di affidassero ai libri di ricette dei cuochi famosi per allestire un menù. Il 40 per cento ha risposto di non averli mai aperti, perché spaventati da ingredienti strani, preparazioni troppo complicate per la mamma lavoratrice o abbinamenti complessi. Due su tre (il 67 per cento) ha addirittura detto di trovare “intimidatori” i toni con i quali vengono spiegate le ricette. Effettivamente, l’aggettivo si addice proprio al re dei programmi di cucina, Gordon Ramsay.

CHIFFONADE. Il 45 per cento ha confessato di non avere idea di cosa significhino certi termini di cottura, come “concassé” o “chiffonade”. Come se non bastasse, quasi tutti confessano di avere circa 10 libri di cucina ma di aver provato al massimo quattro o cinque ricette. Insomma, se un libro di cucina ormai non si nega a nessuno, non si nega a nessuno nemmeno il diritto di non leggerlo.

 

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