Ciò che vedi tra i malati di Asunción vive anche tra le nebbie della tua città

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Conoscevo la storia di padre Aldo fin dalle superiori, non c’era un posto in cui sarei voluta andare più che in Paraguay. I primi giorni ho sperimentato una sofferenza mai provata. Ero dall’altra parte del mondo, comprendevo a stento lo spagnolo; la mia tristezza rischiava di trasformarsi in disperazione. Tutti i giorni sentivo i miei genitori su Skype piangendo. Loro però non perdevano di vista il bello che era di fronte a me. Durante una chiamata mio babbo ha detto: «Non te ne accorgi, ma tu sei un miracolo. Quello che tu credi essere una sfortuna nella tua vita è la condizione per cui ti è data la possibilità di essere lì, di poter stare al rapporto con padre Aldo». Allora sono andata in lacrime da padre Aldo. Andare a chiedere aiuto non mi ha fatto sentire più sola. Decisivo è stato fidarmi di quello che lui mi diceva e obbedire. Tutto quello che mi sembrava distrutto è stato ricostruito più forte di prima.

Prima di fidarmi di questo rapporto grande, stavo qui per uno sforzo, perché “dovevo fare questa fatica”; poi ha prevalso l’attrattiva, una promessa, per cui vivere la mia fatica qua, con questo amico, per me è più conveniente e più bello che tornare a casa. Ora so di dovere essere grata anche per questa condizione faticosa. Ho la certezza che sia stato preparato un destino buono e grande per me, perché già ora è presente. E io che ero tanto scandalizzata per il fatto di essere triste in un posto tanto grande, sono più libera ora perché Gesù mi ha chiamata qui così. Perché il suo tempo non è il mio, che vorrei capire tutto subito e vorrei fosse più facile. Ma stando dove e come sono chiamata, il centuplo promessoci posso dire che esiste. Guardando i malati per esempio, è diventato chiaro in un modo imponente per me perché valga la pena vivere: perché c’è qualcuno che ci fa e ci ama, così come siamo. E le condizioni in cui ci troviamo non sono degli impedimenti ad incontrarlo o a vivere il centuplo, ma sono il mezzo necessario, deciso per noi. Una mia amica, un giorno in cui stavo parecchio male, mi ha detto «fidati di Chi ti dà la vita». Ed è una frase che ancora ora mi folgora, perché molto vera: io non capisco molte cose, ma Tu mi fai e mi ami. Quindi mi fido, mi abbandono, più libera.

Ho una domanda per te, padre Aldo. Qua tutta la giornata rimanda al Mistero, è scandita dalla processione alla mattina, la Messa prima di pranzo e di nuovo la processione alla sera. Quindi sono circostanze più facilitanti per vivere riconoscendolo. Mentre qui le persone hanno la fede e una coscienza maggiore di chi le fa, in Italia sembra ci debba sempre essere una patina sulla realtà, che io non possa affermare chi sono davvero per paura della reazione della gente. In pochi vivono la fede e in pochi credono che Cristo sia venuto davvero. In un contesto come quello, dove devo e voglio tornare, è possibile vivere con la trasparenza che sto vedendo e che sto imparando ad avere qua? E come? Non voglio e non posso più vivere per meno dell’intensità e della bellezza viste qua!
Lettera firmata

Tu sei stata testimone di ciò che Gesù mi sta chiedendo giorno per giorno attraverso questa malattia che mi rende spesso insopportabile questo corpo. Vivo con dei vecchietti, che tu hai conosciuto, e mi sento totalmente a mio agio con loro. Mi hai visto stringere i denti, eppure sperimento ciò che san Paolo dice di sè: «Quando sono debole, allora sono forte per Cristo». Certamente non avrei mai pensato che Gesù, dopo avermi fatto passare per la disperazione di un terribile esaurimento, mi regalasse questa nuova malattia, questa spondilite che rende tutto più difficile e più vero, «perchè porto nel mio corpo le ferite di Gesù per il Suo Corpo che è la Chiesa», come afferma san Paolo. Per cui posso dirti, con letizia, che neanche la peggiore malattia è un impedimento per dire «Io sono Tu che mi fai». Possono esserci condizioni in cui è meno faticoso dire sì al Mistero. Ma non esiste una situazione in cui io non possa vivere ciò che tu stessa hai visto. È vero, sono un privilegiato, perché Dio si è servito di me per comunicare ai miei bambini, ai miei studenti poveri, ai miei anziani, ai miei ammalati terminali, la bellezza e la profondità dell’amore di Gesù e della Madonna. Per cui ti auguro che ciò che porti nel tuo cuore e nei tuoi occhi sia segno vivo e luminoso anche fra le nebbie della tua città.
paldo.trento@gmail.com

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