Ai piedi della croce

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Santuario di Caravaggio, aprile. La sera del Venerdì Santo la signora A. andò alla Via Crucis di Caravaggio. Era stanca, e distratta. Pensava a tutt’altro che alla morte di Cristo. Aveva in testa il lavoro, e altre preoccupazioni. Quasi la meravigliò la gran folla che, verso le otto di sera, vide riversarsi nel cortile del santuario. Quanti: giovani e anziani, con le torce in mano, venivano per la processione. Nell’attesa che la Via Crucis iniziasse la signora A. entrò nella basilica. Ne amava sempre la penombra materna. Si sedette su una panca. Chiese alla Madonna una certa grazia, che le occorreva. Poi passò dal Sacro Fonte, a bagnarsi le mani in quell’acqua fresca e buona.

La Via Crucis iniziò che ancora il sole stava calando, rosso, nel cielo sereno. Un vento leggero si portava dentro echi di glicine in fiore e di menta dai prati. Che primavera splendente, pensò A., e contò quante ne aveva viste ormai, di primavere. Sono quasi vecchia, osservò, meravigliata, perché le pareva ieri che arrivava trafelata al liceo, e copiava i compiti di matematica all’ultimo momento.

«Exaudi, Dominem, vocem meam qua clamavit ad te…», iniziò a cantare il coro, con belle limpide voci. In mezzo alla gran folla A. continuava a inseguire i suoi pensieri. Il cielo andava imbrunendo, si accendevano le torce. Alla loro luce tremante le facce della gente, i volti freschi o segnati dalle rughe. Sono talmente distratta, si disse A., che avrei fatto meglio a non venire. Ancora si sentì addosso quel vento dolce, che sapeva di giovane erba. Il coro ora cantava una laude anonima, redatta da Francesco Soto de Langa nel XVI secolo. «Stava a’ pie’ della croce/ onde pendea ’l figliolo/ la madre in pianto e in duolo/ stupida e senza voce».

La signora A. leggeva il testo sul libretto. Non avrebbe saputo spiegare come fu che a quelle parole il suo pensiero fino ad allora assente cadde sulla frase: «Stava ai piedi della croce/ onde pendea il figliolo». Non fu per una sua volontà, ma come spontaneamente che immaginò la scena: Maria curva e dolente sotto alla croce, su cui il figlio agonizzava. Il giovane martoriato, però, aveva il volto di un figlio della signora A.

Questa immagine la colpì profondamente, come una lama che le si piantasse nel petto. Mio Dio, pensò, cosa deve essere stato vedere morire il proprio figlio in quel modo, si disse, quasi comprendendolo per la prima volta. «Vide il suo dolce nato/ mandar lo spirto fuore/ dall’affannato core/ povero e desolato». Mio Dio, cosa deve essere stato. Quell’istante di non voluta immedesimazione non voleva lasciarla, benché lei cercasse di liberarsene, perché faceva male: le restava addosso come una ferita.

Ora era scesa la notte, la folla procedeva veloce nel buio verso la successiva stazione della Via Crucis. A. camminava con loro, fissa su quel pensiero: mio Dio, cosa deve essere stato, e con una strana densa pena nel cuore. Solo la consolava, e la riempiva di meraviglia, che in quella sera di duemila anni dopo si fosse in così tanti, insieme, nel buio, giovani e vecchi, la torcia accesa in mano, zitti, a camminare dietro a una croce: a far memoria, ancora, della morte di quell’uomo.

Foto Flickr

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