A 109 anni dal genocidio armeno, la storia rischia di ripetersi

L'Azerbaigian, sostenuto da Turchia e Russia, prosegue la sua politica per distruggere l'Armenia. Oltre a minacciare l'invasione, Baku cancella il patrimonio storico-culturale armeno in Artsakh

Commemorazione del genocidio armeno a Erevan, capitale dell’Armenia (Ansa)

A 109 anni dal genocidio armeno, l’alleanza russo-turca è di nuovo fiorente. Il Cremlino ha aiutato il regime autocratico dello stato satellite della Turchia a espellere tutti gli armeni dall’Artsakh (Karabakh), ricevendo come ricompensa legami economici più profondi con Baku per aggirare le sanzioni occidentali durante l’invasione dell’Ucraina.

La Russia inganna l’Europa grazie agli azeri

A sua volta, Baku intensifica i legami commerciali ed economici con i paesi dell’Unione Europea, vendendogli il gas russo e i propri prodotti, ora comprese anche le risorse sottratte agli armeni del Karabakh. L’Italia è tra i primi partner commerciali dello Stato neo-turco.
Allo stesso tempo, sullo sfondo di dichiarazioni allineate di Mosca e Baku, l’Azerbaigian continua la sua politica anti-armena su diversi livelli: a seguito della pulizia etnica nell’Artsakh, il dittatore Ilham Aliyev ha inventato un nuovo progetto, intitolato “ritorno all’Azerbaigian occidentale”, (titolo anche delle olimpiadi scolastiche in Azerbaigian, con le quali i bambini azeri vengono indottrinati nell’odio nei confronti degli armeni).

Grandi maestri nel copiare, deformare e falsificare i nomi delle località geografiche (ricordiamo che il termine stesso “Azerbaigian” è stato copiato dal nome della provincia settentrionale iraniana), i politici della dittatura azera, ora come ritorsione al concetto di “Armenia occidentale”, hanno iniziato a far circolare la nozione fittizia di “Azerbaigian occidentale”.

Baku vuole occupare l’Armenia

Denominano così l’intera territorialità corrente della Repubblica d’Armenia, accennando a una nuova aggressione, volta a conquistare l’intera Repubblica democratica. Questo non è altro che un piano terroristico contro uno Stato sovrano confinante. Mentre l’Armenia riconosce l’integrità del suo vicino, l’Azerbaigian non solo non ricambia, ma prolunga la detenzione illegale di prigionieri di guerra e civili armeni nelle carceri di Baku, oltre che la demolizione sistematica del patrimonio cristiano-armeno (mondiale e dell’umanità) nell’Artsakh.

Il 18 aprile scorso si è conclusa la missione congiunta del centro di monitoraggio russo-turco ad Akna. Così è conclusa la deportazione della popolazione autoctona dell’Artsakh e la consegna dei suoi territori all’Azerbaigian, compito che Mosca e Baku non erano riusciti a realizzare nella prima guerra del Karabakh, pur avendo impiegato contro gli armeni, tra l’altro, 3.500 mujaheddin, centinaia di kazaki, combattenti del movimento islamico dell’Uzbekistan, forze della confederazione dei popoli del Caucaso, oltre che mercenari ceceni e ucraini.

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È proprio in questo contesto storico-culturale, che il ministero degli Esteri russo dichiara sfacciatamente che la base militare 102 e le guardie di frontiera russe sarebbero «l’unica garanzia della sovranità dell’Armenia».

Riparte il genocidio culturale

La settimana scorsa il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha avviato concessioni unilaterali dei cosiddetti villaggi “storici azeri” nella regione armena di Tavush, sullo sfondo di un pronunciato risentimento e manifestazioni popolari contrarie; allo stesso tempo, le questioni del ritorno degli armeni in Artsakh e della salvaguardia del patrimonio storico-culturale armeno sembrano sempre più ignorati. Al momento esistono oltre 4.000 siti storico-culturali rimasti “prigionieri” in uno stato autocratico non nuovo a operazioni di genocidio culturale. È iniziata la distruzione o la snaturalizzazione sistematica di monasteri, cimiteri, fortezze e monumenti cristiani armeni, che possono essere riscontrati attraverso sistemi satellitari.

Sono visibili, via Google Maps, siti rappresentanti la presenza storico-culturale armena interamente rasi al suolo o eradicati. Ne sono esempi il villaggio di Karin Tak (nell’immagine sottostante il prima e il dopo) ormai cancellato dalla mappa, la chiesa di S. Giovanni Battista a Shushi, conosciuta anche come “Chiesa verde” (Kanach zham) , scomparsa nell’arco di qualche mese. Il regime barbaro non ha risparmiato neanche le statue di importanti figure culturali, quali il grande chansonnier armeno-francese Charles Aznavour, lo scrittore armeno Khachatur Abovyan a Stepanakert – forse a testimoniare il livello di integrazione e multiculturalismo nello stile dittatoriale, per il quale la first lady dell’Azerbaigian, Mehriban Aliyeva, era stata denominata “Ambasciatrice di buona volontà dell’Unesco”. Va da sé che particolare attenzione è rivolta alla rapida abolizione di qualsiasi simbolo dello stato e della millenaria presenza armena.

Aliyev come Putin

Tutto ciò per giustificare l’occupazione delle terre del popolo autoctono dell’Artsakh davanti a un Occidente sempre più qualunquista, dove gli azeri battezzati come “nazione” da Joseph Stalin in una parodia di multietnicismo/multiculturalismo e cresciuti in una dittatura semisecolare hanno più riconoscimenti internazionali e credito, rispetto alla sola democrazia nel Caucaso meridionale, quella, appunto, armena. Ecco perché alcuni stati e organizzazioni occidentali credono ancora alla propaganda panturchica, chiamando “separatisti” gli autoctoni dell’Artsakh, guardando alla presenza degli armeni nella loro patria millenaria come “illegale”.

Ora che i due regimi autocratici hanno assicurato la propria legittimazione per via elettorale – con Putin e Aliyev al potere, ciascuno per il quinto mandato, dove il primo ha incarcerato ed eliminato il proprio oppositore Alexei Navalny, mentre il dittatore di Baku è salito al potere circondato dagli elogi dei suoi “avversari” politici – la situazione nella regione del Caucaso meridionale potrà essere stabilizzata solo da un difficile e improbabile riavvicinamento tra Ue e Iran.

Il pericolo terrorismo

L’alternativa è il pericoloso corridoio pan-turco contro l’Iran, che sarà costruito tra l’altro poggiando sull’approvazione da parte dell’Occidente della brutale politica di Israele in Palestina e delle sue azioni anti-iraniane attraverso il territorio occupato dell’Artsakh. Questo scenario potrebbe comportare anche un’incursione militare nell’Armenia democratica da parte dei regimi neo-ottomani – abili doppiogiochisti anche nella questione israelo-palestinese. Un effetto collaterale di un simile scenario sarà l’aumento delle azioni terroristiche contro i civili.

Un esempio è stato l’attentato al Crocus City Hall di Mosca, che appartiene al miliardario azero Araz Agalarov, ex cognato del dittatore Aliyev. I terroristi, estremisti islamici con lo stesso modus operandi di quelli che terrorizzavano la popolazione armena dell’Artsakh, purtroppo vengono inclusi tra gli strumenti impiegati per diversi conflitti proxy. Si può capire il punto di vista del politologo e avvocato iraniano dottor Ahmad Ghazimi, secondo il quale «se la Nato formasse il Corridoio Turan, aumenterebbero gli attacchi degli estremisti dell’Asia centrale, sostenuti da Baku e Ankara».

Allora, per quanto idealistico possa sembrare, una vera democratizzazione delle organizzazioni per la sicurezza e il rispetto delle culture autoctone, come il ripristino del diritto all’autodeterminazione, sono processi intrecciati, fondamentali per salvaguardare l’attuazione di un processo di pace, nonché una convivenza dignitosa tra popoli e nazioni.

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