2017 fuga dal Venezuela

Un paese in ginocchio preda di un regime che non permette l’arrivo di aiuti destinati agli enti caritativi. Come si arrangiano i venezuelani: numeri, drammi, abusi

Chi vuole misurare la portata della repressione del regime del presidente Nicolas Maduro contro i manifestanti che a cominciare dall’aprile scorso fino ad oggi protestano contro le politiche governative, e soprattutto contro l’insediamento dell’Assemblea costituente, cerca fra i numeri del bilancio degli scontri di piazza e delle operazioni di polizia. Secondo le stime più accreditate nei quattro mesi fra aprile e luglio di quest’anno nel corso di 6.729 proteste sono state uccise 163 persone, quasi tutte fra i manifestanti, mentre i feriti sono stati 15 mila; le forze dell’ordine hanno compiuto circa 5 mila arresti fra gli oppositori, 1.300 dei quali si trovano ancora in carcere. Ma non è la repressione l’attività più letale del governo chavista. In Venezuela si protestava anche prima che Maduro decidesse di intestarsi tutti i poteri attraverso il progetto di Assemblea costituente. Si calcola che fra il 2012 e il 2016 il paese sia stato teatro di oltre 30 mila proteste, e che il 26 per cento di esse abbia avuto come causa scatenante la carenza di generi alimentari.

Ne uccide più la fame, le malattie non curate e la criminalità dilagante che la repressione. I numeri dei rapporti della Caritas, della Federazione farmaceutica venezuelana, delle Nazioni Unite e di altri ancora attestano la drammaticità della situazione. Secondo la Caritas nel corso del 2016 più di 11 mila bambini sono morti per mancanza di medicinali, determinando un 30 per cento in più di mortalità rispetto all’anno precedente, mentre contemporaneamente la mortalità materna cresceva del 66 per cento. Il Venezuela, che secondo uno studio di Merryll Lynch era il principale paese importatore di medicinali in America Latina nel 2013 con acquisti per un valore di 3,7 miliardi di dollari (grazie alle entrate del petrolio, il cui prezzo in quel periodo toccava i massimi, e a causa delle politiche socialiste che scoraggiavano i produttori nazionali) già nel 2015 a causa del crollo delle entrate dalle esportazioni petrolifere aveva dovuto diminuire del 39 per cento le importazioni senza essere capace di sostituirle con una produzione propria. Secondo la Federazione farmaceutica l’anno scorso si è registrato un deficit di farmaci necessari e richiesti dell’80 per cento, con un corrispondente 85 per cento di famiglie che non hanno potuto avere accesso alle cure.

Studi su campioni di popolazione condotti dalla Caritas hanno portato alla conclusione che il 24,6 per cento dei bambini fra 0 e 5 anni soffre di malnutrizione acuta. Secondo lo stesso ente «nell’ultimo anno il peso degli individui è sceso in media di 9 kg».
La dieta dei venezuelani è radicalmente cambiata. Fra il 2014 e il 2016 i consumatori di riso sono scesi dal 90 al 70 per cento della popolazione, quelli di carni bianche dall’80 al 40 per cento, quelli di carne rossa dal 70 al 40 per cento; mentre i consumatori di patate e tuberi sono cresciuti dal 10 al 50 per cento. Attualmente solo il 34 per cento delle famiglie consuma olio, e solo il 36 per cento zucchero, come pure legumi.

Di fronte a queste problematiche singoli e società civile attivano strategie di sopravvivenza. Per ovviare al fatto che in molti ospedali pubblici medicine e presidi sanitari sono in gran parte assenti (il malato trova solo il letto e il personale medico, se vuole essere curato deve fornire lui i medicinali e a volte le attrezzature mediche), i social media diventano il veicolo principale per la ricerca del farmaco salvavita. «Una compagna di classe di mia figlia era stata ospedalizzata e aveva bisogno di un antibiotico di cui l’ospedale non disponeva, né le farmacie della zona», racconta un nostro contatto a Caracas. «Mia figlia e altri ragazzi hanno usato i loro gruppi whatsapp e i loro profili twitter per chiedere se qualcuno sapeva dove trovare quello specifico farmaco. In poco tempo hanno scoperto che il parroco di una chiesa che sta a un’ora e mezza di auto dalla capitale poteva mettere a disposizione il medicinale. Il problema è stato risolto così. Una ragazza di 13 anni ha salvato la vita di una sua compagna che non era un’amica del cuore: lo spirito di solidarietà è cresciuto col crescere della crisi». In un paese dove ormai il 75 per cento degli ospedali non dispone nemmeno dell’aspirina, le reti di solidarietà sono la risorsa decisiva. Codevida è una delle Ong venezuelane che si sono organizzate per distribuire i medicinali mancanti sul territorio. Funziona una specie di farmacia telefonica che riceve richieste di intervento. «Siamo passati dalle 300 telefonate al mese dell’anno scorso a 5 mila quest’anno», spiegano i responsabili. Le medicine più richieste sono quelle che si usano nei trapianti d’organi, gli analgesici per i malati terminali, farmaci per i malati di sclerosi multipla, per l’epatite, ecc. Arrivano alla Ong attraverso segnalazioni sulla sua pagina Facebook o direttamente per donazioni di case farmaceutiche o farmacie.

Una soluzione ancora più radicale è l’espatrio: molti venezuelani stanno cercando di trasferirsi in Colombia o negli Stati Uniti per curare figli o genitori in gravi condizioni, ma gli ostacoli sono numerosi. In alcuni casi l’emigrazione ha riguardato l’Italia. L’Associazione Latinoamericana in Italia Onlus (Ali) segnala che a Perugia è ospedalizzata una bambina di 2 anni con una leucemia linfatica acuta arrivata dal Venezuela con la madre, mentre al Bambin Gesù di Roma è ricoverata una bambina di 9 anni affetta da sarcoma. Pende una richiesta di una giovane coppia con un figlio di 3 anni colpito da una leucemia acuta che chiede di trasferirsi in Italia per le cure. «I farmaci oncologici sono virtualmente scomparsi o si trovano a costi esorbitanti», spiega Edoardo Leombruni, chirurgo e presidente di Ali, venezuelano residente in Italia. «Molti non riesono più ad accedere alle cliniche private perché i premi assicurativi sono diventati troppo esosi. I medici chiedono ai pazienti di fornire loro stessi il materiale per l’intervento chirurgico».

Per quanto riguarda la sicurezza alimentare, si è degradata a tal punto che da un anno a questa parte si notano famiglie intere -non singoli senzatetto- che nel tardo pomeriggio cercano fra i rifiuti avanzi recuperabili. Accanto alle iniziative della Chiesa e degli enti caritativi, si muove anche una generosità non strutturata che fa onore a quei venezuelani che ancora godono di un certo benessere. Famiglie della borghesia nei fine settimana cucinano razioni alimentari nella cucina di casa e poi in auto si recano in alcuni luoghi della città dove sanno di trovare gruppi di affamati in silenziosa attesa di un pasto gratuito. Il sistema ovviamente si presta ad abusi: alcune persone si appropriano di più razioni e le rivendono.

Nonostante la grave situazione, il governo si rifiuta di proclamare lo stato di emergenza umanitaria e di permettere l’arrivo nel paese di aiuti destinati agli enti caritativi, perché ciò avrebbe il valore di un’ammissione del proprio fallimento politico. I tentativi di introdurre aiuti umanitari nel paese destinati a enti non governativi si sono conclusi finora col sequestro delle donazioni e il loro dirottamento nei magazzini governativi, come è successo qualche mese fa a un container spedito da Caritas Cile in Venezuela. Fiorisce invece il mercato nero, interamente controllato dalle forze armate secondo le fonti venezuelane. L’esercito accede ai beni alimentari al prezzo controllato, che sta in rapporto col tasso di cambio ufficiale del dollaro (10 bolivares per 1 dollaro, mentre nel mercato parallelo ce ne vogliono oltre 18 mila). Sia gli alti gradi che i soldati semplici ciascuno secondo le proprie possibilità acquistano generi alimentari a prezzi irrisori e rivendono a prezzi salati. Anche i posti per l’attesa nelle lunghe code di cittadini che si formano già nottetempo per l’accesso ai supermercati dove sono in arrivo limitate quantità di generi a prezzo controllato sono oggetto di mercanteggiamento da parte dei militari che le sorvegliano armati. I venezuelani poi che si recano nella vicina Colombia per acquistare pezzi di ricambio per autoveicoli o medicinali introvabili in Venezuela quando riattraversano la frontiera di solito non pagano il dazio ufficiale, ma versano direttamente cifre di denaro nelle tasche delle guardie alla frontiera che chiudono un occhio sulle importazioni illegali. In questi aspetti della crisi forse sta alla risposta agli interrogativi di quanti si meravigliano che i militari non abbiano messo ancora la parola fine al disfunzionale governo Maduro con un golpe.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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