Calma a dire che la vendemmia 2014 è stata un disastro. «Il vignaiolo sa di essere sempre in balia del cielo e delle stelle»

«Come fanno i giornali a fare certi titoli? È presto per giudicare. Se così fosse le cantine verranno svuotate dalle bottiglie degli scorsi anni». Parla Carlo Pietrasanta, presidente del Movimento del turismo del vino lombardo

Settembre, tempo di vendemmia. Una vendemmia povera e di cattiva qualità, quest’anno, colpa dell’estate mai realmente arrivata. La Coldiretti ha rilasciato delle dichiarazioni a dir poco drammatiche sul raccolto del 2014: «L’Italia perderà il primato mondiale nella produzione di vino a vantaggio della Francia dove le stime per il 2014 danno una produzione di 47 milioni di ettolitri. L’Italia andrà così a produrre solo 41 milioni di ettolitri, cioè il 15 per cento in meno della produzione già poco consistente del 2013».
Dati che lasciano poco speranze ai vignaioli e agli appassionati di vino. «Ma davvero pensano che i vignaioli abbiano le bilance elettroniche negli occhi? Che basta dare un’occhiata alla vigna per capire l’esatto numero di chili di uva raccolta e di bottiglie che ne verranno prodotte?». A fare questa battuta è Carlo Giovanni Pietrasanta, presidente del Movimento del turismo del vino lombardo, nonché proprietario di una cantina di vini a San Colombano, in Lombardia.

Pietrasanta, davvero la produzione del 2014 è scarsa e di modesta qualità?
Aspettiamo a giudicare. È impossibile fare una reale previsione, bisogna attendere pazientemente di aver finito di raccogliere fino all’ultimo grappolo. Che l’estate quest’anno non sia mai arrivata è, purtroppo, una certezza. Ma non è andata male in tutta Italia, ci sono delle zone che sono state risparmiate dalle piogge copiose, come per esempio Sicilia e Sardegna. Anche nelle stesse regioni che in cui ha piovuto quasi sempre, si salvano determinate aree. Prendiamo la Lombardia, nella quale le precipitazioni non si sono risparmiate. La produzione di Lugana, vino bianco dell’area bresciana, è per esempio salva e pronta per essere imbottigliata. Mentre per le basi del Franciacorta nulla di buono, i grappoli sono ancora troppo acidi. Anche nell’Oltrepò c’è ancora da aspettare. Complessivamente, la vendemmia quest’anno terminerà un po’ più tardi rispetto agli altri anni.

I titoli dei giornali, però, sono tragici.
La settimana scorsa ho letto: «Quest’anno niente amarone». Ma che significa? Aspettiamo a dirlo. Non creiamo allarmismo tra i consumatori e i professionisti. Oggi l’utente è molto preparato, a lanciare titoli di questo tipo lo si spaventa e basta. Un titolo così nuoce a tutti.

Non c’è modo di riparare una vigna dai danni?
Rispetto a 30 anni fa è cambiato tutto nel modo di fare vino. Ora i filari sono più lontani uno dall’altro, si fanno crescere i grappoli in modo che stiano abbastanza distanti dalle foglie, così, se bagnati di pioggia, riescano ad asciugare in fretta, e questo modo è detto “cordone francese”. I vigneti respirano e si salvaguardano meglio, visto che anche le foglie per certi vini sono importanti. Certo è piovuto parecchio e me lo ha testimoniato un agricoltore di Varese qualche giorno fa. Segna con precisione tutti gli eventi climatici che si abbattono sulla sua vigna in un diario e mi ha detto: «Un’estate così piovosa non c’era dal 1972».

Diceva che il pubblico del mondo enologico è cambiato. Perché?
Il pubblico è molto più eterogeneo. Innanzi tutto, sono ugualmente uomini e donne, mentre prima era un interesse più maschile. Poi, è molto attento alla qualità di quello che beve, si informa, si documenta sulle cantine e ama andare alla ricerca di nuove etichette, beve in maniera consapevole. Una volta, invece, era quasi un bisogno alimentare alla pari del pane o del latte. Il vino in tavola era sempre presente, oggi si mette in tavola per un’occasione speciale o per la domenica. Prima sulla tavola c’era il fiasco e in dispensa la damigiana, oggi si usano solo bottiglie, addirittura anche in versione ridotta, da “single”. Prima il vino fungeva da carburante, riscaldava chi rimaneva a casa perché il calore di una stufa non bastava, e riscaldava chi lavorava all’aperto, perché non c’erano i tessuti tecnici di oggi. Aveva una funzione molteplice. Siamo passati da 120 litri pro capite negli anni Sessanta, ai 38 litri pro capite di oggi.

Gli italiani bevono in media 82 litri in meno rispetto a una volta, quindi.
I motivi sono tre, a mio avviso. Sicuramente in primo luogo, motivi di salute. Poi le nuove norme sulla guida in stato di ebbrezza, del codice della strada, spaventano molti. Quando mi raccontano che non bevono a cena per il terrore del famoso test del palloncino, cerco di farli ragionare. Se si bevono due bicchieri di buon vino nel corso di una cena, il corpo riesce bene a gestire l’alcool. Meno ovviamente se li si bevono a stomaco vuoto come aperitivo. Ma io dico, durante una bella cena, di quelle che si rimane a tavola un po’, chiacchierando e passando del tempo, perché ci si dovrebbe privare di quei due bicchieri? L’errore sta nell’ordinare l’ammazzacaffè, che il più delle volte è scadente e pieno di zuccheri. Rinunciate a quello, non a un bicchiere di buon vino.

C’entrano anche i fattori economici?
Si vendono meno bottiglie per la crisi, che ha contagiato tutti i settori. E allora, in fondo, ben venga una vendemmia più contenuta quest’anno. Così le cantine verranno svuotate dalle bottiglie degli scorsi anni. Un vignaiolo vero non si abbatte mai. Sa che il suo raccolto dipende solo dal cielo e dalle stelle, sa sempre trovare il positivo in tutte le condizioni.

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