Vauro e Guzzanti sostengono i No Tav, che tornano a manifestare contro “la vendetta dello Stato”

I No Tav, applauditi da intellettuali e giornalisti, in corteo a Torino per difendere i loro militanti accusati di terrorismo

Il corteo No Tav di oggi, 10 maggio, a Torino, partenza delle 14 da piazza Adriano, mette nell’obiettivo “la vendetta dello stato”. Tradotto: l’accusa di terrorismo per alcuni militanti anti-treno e le indagini di vario genere verso un migliaio di esponenti del movimento. Non manca il manifesto-appello di un nugolo di intellò variamente antagonisti e radicali (più o meno chic). Un corteo, questo, che in qualche modo è l’apice di una contrapposizione con la magistratura subalpina, che è insieme ai partiti (in particolare il Pd) è sempre più “bestia nera” di un movimento sempre più egemonizzato dalla frange estreme.
Particolare sdegno ha sollevato il manifesto, che ha tra i primi firmatari: Pino Cacucci, Giulietto Chiesa, Valerio Evangelisti, Sabina Guzzanti, Valerio Mastandrea, Vauro, Cecilia Strada e il collettivo Wu Ming.

CON CHI STANNO GLI INTELLETTUALI? Il senatore Stefano Esposito (Pd, tra più forti sostenitori della Torino-Lione) ha evidenziato come «le varie sigle della galassia antagonista ed anarchica rifiutino lo Stato e disprezzino le istituzioni, le forze dell’ordine e la magistratura non sorprende. Ma che siano degli intellettuali e dei giornalisti a sposare il teorema della “vendetta di Stato” contro i No Tav autori di gravi atti di violenza, sostituendosi così ai giudici e promulgando sentenze di assoluzione in nome di un qualche fantomatico “tribunale del popolo”, questo sì che preoccupa e allarma. Preoccupa e allarma perché vengono indicati dei responsabili: i due Pm e il Gip della Procura di Torino che seguono il procedimento. E quando le persone vengono messe all’indice rischiano di trasformarsi in bersagli. Bersagli non solo di parole, come recenti fatti hanno purtroppo dimostrato».
Immediato, per molti, il paragone col vergognoso appello contro Luigi Calabresi. E, rispetto al richiamo alla resistenza, il parallelismo con le pagine buie degli “anni di piombo”. Denuncia ancora Stefano Esposito, «gli esponenti della frangia violenta che si è impossessata della bandiera No Tav  non sono i primi a credersi eredi dei partigiani e a pensare di condurre una lotta di liberazione. Lo credevano anche i brigatisti e gli altri terroristi rossi. E non è neppure la prima volta che degli intellettuali e dei giornalisti firmano appelli parlando di “vendetta di Stato”. Ricordo nel 1971 il manifesto contro il commissario Calabresi. Anche lì si accusavano i magistrati “persecutori” e i giudici “indegni”. Tutti sappiamo cosa successe. Ma, evidentemente, la storia non insegna nulla alle menti offuscate dall’odio ideologico».

CORTEO DEL PRIMO MAGGIO. Insomma, l’allarme è alto. Specie dopo i fatti del corteo del Primo Maggio, con la sinistra estrema che ha cercato di “cacciare dalla piazza” gli esponenti Pd. Fatti di fronte ai quali la deputata grillina Laura Castelli non ha trovato di meglio che dare la colpa ai democratici. «Il corteo che ha sfilato per le vie della città era considerato particolarmente a rischio – ha “spiegato” la deputata pentastellata – a causa della presenza dei rappresentanti del Pd, ostinatamente decisi a partecipare ad eventi che dovrebbero appartenere ai cittadini e non certo servire da passerella ai partiti che hanno rovinato il Paese».

“PIZZO” AI NO TAV. Dalla Val di Susa, intanto, arriva – rivendicata con orgoglio dalla “galassia No Tav” – una notizia tra il surreale e l’inquietante. Qualche giorno fa, il candidato alla presidenza del centrosinistra Sergio Chiamparino (in “tandem” con il candidato Antonio Ferrentino, già alla guida della Comunità Montana) hanno organizzato un incontro a Villarfocchiardo, presso Cascina Roland. Una struttura pubblica gestita da una cooperativa. Ora si apprende che i gestori della struttura hanno “donato” una parte dell’incasso per l’affitto e la realizzazione al Movimento No Tav, per «ringraziare per la civiltà e la democrazia dimostrata». Una scelta che ha fatto infuriare Ferrentino. «L’agibilità politica – ha scritto in una nota – deve essere garantita a tutti senza la necessità di pagare il “pizzo” a nessuno. La Val di Susa è un pezzo di un Paese democratico nel quale ancora oggi molti imprenditori si rifiutano e combattono questo sistema, pagando a volte con la vita il loro coraggio».
Laconico e sarcastico, invece, Stefano Esposito, che commenta: «Ho sempre descritto una parte del Movimento “mafia senza pizzo”, vedo che hanno rimediato alla mancanza».

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