Corpo tempio del mercato

La monetizzazione dell’utero femminile, la riduzione della donna a forno e dei bambini a prodotti da banco. Parla Marina Terragni

Articolo tratto dal numero di Tempi di gennaio (l’accesso agli articoli del mensile è riservato agli abbonati: abbonati subito!)

La sarabanda infernale di carne, sangue, gameti, soldi, leggi, diritti, vagiti, ha il volto cordiale di due uomini. Si avvicinano, invitandola con tono suadente a cena per conoscere la loro bambina e la loro situazione. Marina Terragni, giornalista, scrittrice e femminista della Rete contro l’utero in affitto, rifiuta l’invito: «Mi interessano i dibattiti pubblici, situazioni come la vostra le conosco: proprio per questo ho cominciato a occuparmi di Gpa, gestazione per altri». Sono i giorni in cui infuria in Comune a Milano il dibattito sulla trascrizione di quattro bambini venuti alla luce all’estero da madre surrogata e portati in Italia da tre coppie di uomini.

Terragni, che nell’apposita Commissione si sta battendo come un leone perché Palazzo Marino attenda il pronunciamento della Cassazione a sezioni unite su un caso analogo a Trento, ha una domanda per questi “padri” cordiali: «Ho chiesto loro perché invocassero una bigenitorialità tout court sulla bambina invece di procedere con la trascrizione all’anagrafe del solo padre biologico e l’adozione per il partner. In fondo per gli eterosessuali funziona così. In fondo anche Nichi Vendola ha scelto questa strada. “Ma Vendola non l’ha scelta”, mi hanno risposto sorridendo, “è che allora non si poteva fare diversamente. E con quel tipo di adozione (detta “in casi particolari”) i nonni non sono legalmente nonni, gli zii non sono legalmente zii”».

LA BATTAGLIA È ALL’ANAGRAFE

“Allora”: cioè appena tre anni fa. «Questi uomini hanno violato la legge, a scapito della salute di due donne e dei figli che avrebbero messo al mondo, ben consapevoli di quello che facevano, e ora puntano i piedi perché vogliono tutto. La lotta non è più per la regolamentazione di una pratica aberrante, ora il fronte è l’anagrafe, la registrazione dei figli, i nonni e gli zii».

In verità – restando alla cronaca e prima ancora di entrare nel vivo della catastrofe simbolica dell’utero in affitto – i figli registrati unicamente con il padre biologico non sono privati di alcun diritto, al pari dei figli di donne sole che godono di tutti i diritti di cittadinanza. «Se una “ragazza madre” vuole che il suo compagno che non è il padre biologico sia riconosciuto nella sua funzione paterna, può consentirgli di adottare. Non vi è ragione alcuna perché ai “due padri” sia riservata una corsia preferenziale: si tratterebbe di una discriminazione positiva in base all’orientamento sessuale, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Neanche in Francia, in Spagna, in Svezia, dove pure è riconosciuto il matrimonio omosessuale, i due padri sono registrati».

Come è andata a finire a Milano? Il sindaco Beppe Sala ha chiesto che sia il Consiglio comunale in seduta plenaria a pronunciarsi sulle trascrizioni: la discussione è prevista per febbraio. E sui social è cominciata una furiosa crociata anti-Terragni partita dalla pagina Papà Arcobaleno Italia. «La logica, adolescenziale, è quella di avere diritto a tutto. Sanno di avere violato la legge, ma vanno a cercare ragione nei tribunali: la giurisprudenza francese la definisce “fraude à la loi”. Inveiscono sui social, perseguono un progetto di omologazione perfetta. Se un tempo la cultura omosessuale era portatrice di contenuti e stimoli che nascevano dalla differenza – pensiamo a Pier Paolo Pasolini, a Giovanni Testori: la loro omosessualità è stata un lievito nella vita di tutti, uno sguardo diverso sulla realtà –, oggi invece l’idea mainstream è essere uguali. Ma a un bambino messo al mondo per soddisfare un desiderio di omofecondità in cui la madre scompare, questa possibilità è tolta. A quel bambino è stata inflitta una ferita non sanabile», spiega a Tempi Terragni, che ha appena dato alle stampe per Sonzogno un libro dal titolo Gli uomini ci rubano tutto. «Qualunque genitore adottivo può testimoniare la problematicità del confronto con le origini. Figli amatissimi che a un certo punto, immancabilmente, vogliono sapere della loro madre naturale e del perché li ha abbandonati. Ma un conto è ritrovarsi in questa situazione per fatalità o per disgrazia, un altro è procurare questa ferita consapevolmente e per contratto».

LA VERITÀ DECISIVA DEL DUE

Terragni è stata sposata dal leader delle lotte omosessuali a Milano, gli ha lanciato il bouquet in Comune. È stata al fianco del Movimento transessuali negli anni Ottanta, in piazza, nei convegni, per il riconoscimento anagrafico del cambiamento di sesso. Femminista in lotta contro il biomercato, per un corpo sottratto alla manipolazione e offerto alle relazioni su cui ha scritto tantissimo, oggi la giornalista è accusata di essere una swerf (Sex Worker Exclusive Radical Feminist), terf (Trans Exclusive Radical Feminist), whorephobic, transphobic, anti-sex, moralistic prudes. In semi italiano si direbbe accusata di transfobia, queerfobia, omofobia, moralismo.

Oggi il peccato della carne è rifiutare di pensarsi come capitale biologico, restare attaccati alla verità delle origini, alla matrice, a ciò che Terragni chiama «il tabernacolo della verità decisiva del due». Quando la logica del profitto entra anche in quella relazione inviolabile, quando si va a toccare quel punto, il madre-figlio/a, «si tocca il fondamento della civiltà umana e l’origine di tutte le speranze, perché si tocca il punto in cui il due è indistinguibile dall’uno».

Come siamo arrivati a ridurre l’unità di quel due a un “uno più uno” immediatamente divisibile? «Il bioliberismo ha brandizzato anche la lotta delle donne per l’autodeterminazione trasformandola in occasione di profitto, il desiderio di libertà in prodotti da banco. Dal volersi liberare dei ruoli imposti dal corpo di nascita il mercato ha tratto l’insignificanza del corpo. In Inghilterra, epicentro di questa ideologia – dove pure l’omosessualità fino a tempi recenti era considerata reato penale – le visite per l’identità di genere dei bambini sono cresciute del mille per cento in sei anni. Le donne di nascita vengono chiamate “menstruator”, per non offendere le transwomen. Ma non basta, perché le linee guida educative del comune di Brighton impongono che agli scolari di otto anni si insegni che “tutti i generi” possono avere le mestruazioni. L’insignificanza del corpo è regolamentata da una vera tassonomia, una classificazione ossessiva di ogni sfumatura dell’orientamento sessuale e dell’identità psicologica. Esattamente come per le categorie merceologiche. Ed eccoci all’utero in affitto: è di lì che deve passare il salto di civiltà».

L’INSIGNIFICANZA DELLA RELAZIONE

Legittimando «l’utero in affitto», continua Terragni, «si interviene sull’esempio più alto di gratuità delle relazioni umane, il legame tra la madre e il figlio, su cui anche il diritto ha sempre balbettato. Se si rompe questo legame, ecco l’atomizzazione perfetta, lo slegame perfetto, l’individuo come una barca in mezzo al mare nella sua solitudine, più dolorosa della morte: sono tutti prerequisiti del consumatore perfetto. Per questo la questione è paradigmatica. Qui c’è tutto: l’insignificanza del corpo e della relazione, la possibilità di mercificare qualunque cosa, lo sfruttamento, la perdita di ogni dignità, la commerciabilità dell’umano. Tutto ciò che piace al mercato qui si realizza».

Perché il piano si compia, la madre deve essere annientata. Qualcuno ha provato e prova ancora a parlare di dono, ma sono solo strategie di marketing. «Una volta un padre adottivo mi ha detto una cosa sensatissima, cui non avevo mai pensato: “Per un bambino sapere di essere stato regalato è peggio di sapere di essere stato ceduto per soldi”. Se vengo regalato penso di non essere nulla, una povera cosa di cui disfarsi. Non sono stato abbandonato per disperazione, indigenza, ignoranza, ma perché non valgo niente. Il discorso sul dono è a doppio taglio. Non mi sono mai arrabbiata tanto come quando un tale ha negato che fosse una questione di soldi: “La mia surrogata ha detto che lo ha fatto perché glielo ha chiesto Dio”».

TUMORI, LEUCEMIE E LINFOMI

Quanto alla salute, chiedete a Maura Massimino, che dirige l’Oncologia pediatrica all’Istituto dei tumori di Milano. Nel foglio di anamnesi dei pazienti si è dovuta introdurre la richiesta di notizie sulle modalità del concepimento, se naturale o assistito. Perché da almeno dieci anni tutti gli studi sottoposti ad attenta peer-review (valutazione tra pari) dimostrano che i bambini concepiti in seguito a trattamenti per la fertilità e con le tecniche – tutte le tecniche – di fecondazione assistita sono a maggiore rischio di tumori infantili e di altre patologie. Lo scrivono l’American Journal of Obstetric & Gynecology, Pediatric Blood & Cancer (rivista della Siop, Società internazionale di oncologia pediatrica), Pediatrics, Human Reproduction, Fertility and Sterility. Maggiori rischi statisticamente significativi di insorgenza di retinoblastoma e tumori del rene, leucemia e linfoma di Hodgkin, tumori del sistema nervoso centrale e di neoplasie epiteliali maligne, malformazioni congenite e di nascite pre-termine. L’ultimo studio, «cinese, non di Città del Vaticano», pubblicato lo scorso 13 dicembre «mostra che i bambini concepiti con trattamenti per la fertilità corrono un rischio significativamente più alto (rispetto ai bambini concepiti naturalmente) di sviluppare cancro», e declina il rischio per le varie tipologie di tumori.

RIVENDICAZIONE POLITICA GAY

Perfino il Washington Post alla fine dell’anno ha rotto il silenzio denunciando con un ampio servizio in prima pagina i rischi della fecondazione assistita. Del tumore teratoide rabdoide cerebrale nei bambini nati da procreazione medicalmente assistita si è discusso in un recente un congresso di oncologia pediatrica a Denver. «Chi ricorre alla Gpa si serve di tutte queste tecniche – stimolazione ovarica, maturazione forzata degli ovociti, estrazione, fecondazione in vitro, inserimento di più embrioni nell’utero di una donna geneticamente estranea al 100 per cento – e danneggia la salute di due persone, la fornitrice di ovuli e la gestante, sottoposte a bombardamenti ormonali. La gestante deve controfirmare clausole contrattuali vessatorie che le impongono l’aborto nel caso in cui attecchiscano più embrioni (riduzione embrionale) o nel caso di malformazioni». Ma chi ricorre a queste tecniche fa correre dei rischi anche ai bambini: «Un’adolescentizzazione, un’indifferenza assoluta di fronte al fatto di fare tanto male pur di soddisfare un desiderio». Vale per i gay come per gli etero. «Ma gli etero tendono a nascondersi, non fanno di questa pratica una bandiera dei diritti. Per i gay si tratta di una rivendicazione politica».

Sulla surrogata si è rotta l’alleanza storica tra le donne e il movimento Lgbt. Se oggi in Italia Arcilesbica porta avanti la battaglia contro l’utero in affitto, le lesbiche di Famiglie arcobaleno, sulla base di una illogica parificazione tra la maternità e la paternità (Terragni sottolinea l’irriducibilità della differenza sessuale sul fronte procreativo: «Nessuno può impedire a una donna di avere o non avere un figlio, mentre a un uomo serve l’ausilio della scienza medica, di un mercato che metta in vendita ovociti e uteri, di leggi che ti consentano queste pratiche») si comportano come ancelle di uomini che hanno smesso di riconoscersi come figli delle donne e si comportano da veri «predatori della potenza materna, il Graal maschile».

I NOMI DEI PARLAMENTARI EUROPEI

La sarabanda infernale di carne, sangue, gameti, soldi, leggi, diritti, vagiti, ha anche la facciata rassicurante dell’istituzione. Il mese scorso il parlamento europeo ha votato la nuova relazione sui diritti umani. E l’emendamento che ribadiva la condanna dell’utero in affitto non è passato per un solo voto (271 contro 270). Nove deputati hanno detto di essersi sbagliati, votando contro, ma la correzione non è stata ammessa. Morale? Sparita la condanna della pratica della surrogazione. Eppure nel mondo la gestazione per altri è consentita solo in 18 paesi su oltre 200. Eppure in Spagna, Germania, Svezia tutte le sinistre parlano di ignobile sfruttamento e di mercato. In Italia no.

«Ho elencato gli europarlamentari italiani – quasi tutti di sinistra – che hanno difeso la Gpa, oltre agli assenti e agli astenuti che hanno portato a questo risultato. In Comune, a Milano, abbiamo sentito dal Pd dichiarazioni di contrarietà alla pratica, ma al momento sono in pochi a dire no alle trascrizioni». Si dovrà attendere il dibattito in Consiglio comunale – e l’importante sentenza della Cassazione a sezioni unite – per capire come finirà questa partita decisiva.

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