L’unico «colpevole certo» della morte di Pamela Mastropietro

Un tempo facevamo la lotta alla droga, oggi pensiamo alla "riduzione del danno". Macerata dimostra che «questa non è la via». Il commento di Polito sul Corriere

L’omicidio di Pamela Mastropietro continua comprensibilmente a calamitare l’attenzione di giornali e tv. Tuttavia, tra marce, raid, manifestazioni e slogan pro e contro l’immigrazione, non sono molti gli osservatori che non si lasciano distrarre dalle polemiche e riescono a cogliere un punto fondamentale di tutta questa tragedia.

PARTIRE DALLE RADICI. Un punto che, alla vigilia del “corteo antifascista” seguito alle pistolettate esplose da Luca Traini contro un gruppo di immigrati, solo il vescovo della città Nazzareno Marconi si è preoccupato di richiamare alle coscienze di tutti. «Macerata sa già di non essere una città razzista, sa già di non esser una città perfetta, sa che si sta sforzando di superare i propri limiti e sta camminando», ha detto il prelato, invitando i fedeli a pregare tanto «per le vittime» quanto «per i colpevoli», ma «soprattutto» – ecco il punto – a pregare «per i nostri giovani, perché siano aiutati a non cadere nel tunnel della droga, perché non lo dimentichiamo: tutto questo è cominciato dalla droga. Per togliere via le piante cattive bisogna partire dalle radici».

BATTAGLIA DIMENTICATA. La stessa preoccupazione (come abbiamo già provato a sottolineare in questo articolo) anima i responsabili della Pars, la comunità socio-sanitaria di Corridonia presso la quale Pamela era ospite, comunità che per altro è finita incredibilmente a sua volta nel mirino di qualche giornale per la presunta “colpa” di aver lasciato che la ragazza se ne andasse poche ore prima di incontrare i suoi assassini. E proprio dalla «battaglia dimenticata» della Pars e delle realtà come la Pars sembra aver preso le mosse il vicedirettore del Corriere della Sera Antonio Polito per il notevole commento lanciato oggi in prima pagina dal quotidiano milanese.

CAPRI ESPIATORI. «Di chi la colpa di ciò che è successo?», si domanda nell’articolo Polito. «È colpa degli immigrati, e di chi li ha fatti entrare; no, è colpa dei razzisti che sparano contro immigrati che non c’entrano niente; però se ci sono i razzisti è perché gli immigrati sono troppi; no, è colpa del nuovo fascismo che ci fa credere che gli immigrati siano troppi». Nel «novero dei capri espiatori», ricorda Polito, è finita «perfino la comunità che ospitava Pamela su richiesta del Sert di Roma: perché non l’hanno fermata lì, in mezzo ai campi?». Insomma, sono state attribuite colpe a chiunque e spesso ingiustamente, eppure, osserva il giornalista, «è significativo che, in questa spasmodica gara a trovare un presunto colpevole, nessuno dica che un colpevole certo c’è, e che si chiama droga. C’è chi fa la lotta agli immigrati e chi fa la lotta al razzismo, ma nessuno fa più la lotta alle droghe».

SOTTO IL TAPPETO. «Un tempo fu un programma politico che coinvolgeva destra e sinistra», scrive Polito. «Dall’inizio della Seconda repubblica la lotta alla droga (…) è stata sostituita dalla politica della “riduzione del danno”. Ma mentre è essenziale aiutare il percorso di recupero da una dipendenza riducendo il danno per il paziente, è ipocrita usarla nella realtà come una forma di controllo sociale». Oltre alla lotta di legge e ordine, occorre combattere una battaglia chiaramente educativa, culturale, umana. Ancora Polito: «Sostanze sostitutive nei Sert e psicofarmaci nel reparti di psichiatria non bastano per combattere una battaglia culturale contro l’uso delle droghe e contro il disagio esistenziale che ne è alla base. Il danno viene sì ridotto, quando va bene; ma il problema è spazzato sotto il tappeto. E basta una sola volta che falliamo, come con Pamela, per farci capire che questa non è la via».

IL RIMPIANTO DI GINSBERG. E però le comunità come la Pars sono lasciate sole. Sole ad assumersi il compito e il rischio di riaccendere un barlume di senso dentro le vite di tante persone disperate. Intorno, la società non sembra più disposta a guardare questo enorme problema che richiede una responsabilità e un impegno altrettanto enormi. Preferisce che ci pensi il Sert, che ci pensi la polizia, oppure che non ci pensi più nessuno e anzi si legalizzi la “droga leggera”. Il commento di Polito si chiude con una citazione: «”Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi in cerca di droga rabbiosa…”, scriveva Allen Ginsberg nel 1955. Oggi lo chiamiamo “uso ricreativo”». Conclusione senz’altro efficace. C’è da augurarsi che il vicedirettore del Corriere la faccia presente la prossima volta che il suo giornale pubblicherà un altro spot di Milena Gabanelli per la canna di Stato.

Foto: Ansa

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