Trovare lavoro in Italia? Succede solo da McDonald’s

Il caso McDonald's, che secondo la Cgil faceva solo «spot strumentali». Invece: 3 mila assunzioni in 3 anni. Intervista a Stefano Dedola, direttore risorse umane

Il piano di assunzioni di McDonald’s lanciato a fine 2012 e che prevedeva di inserire tremila persone in azienda in tre anni è in linea con la tabella di marcia. A confermarlo a tempi.it è Stefano Dedola, direttore risorse umane in McDonald’s Italia: «Dall’annuncio del piano abbiamo già superato quota 1.700 nuovi assunti su 17.500 dipendenti e aperto 55 nuovi ristoranti, aperture che ci porteranno presto a raggiungere i 500 ristoranti in tutta Italia; e abbiamo già in programma di aprirne altri 38 nel 2015».
Altro che un «mero slogan pubblicitario» e «strumentale», come ebbe a dire la Cgil. Oltretutto, si tratta di veri e propri ristoranti, non semplici fast food, con tanto di certificazione energetica e sostenibilità edilizia, come il primo certificato CasaClima Nature, aperto a fine settembre a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona (vedi foto). Per una filiera che, secondo una recente ricerca della Sda Bocconi, ha ricadute in termini occupazionali pari a più di 24 mila occupati sul territorio nazionale. E, come se non bastasse, l’80 per cento dei fornitori di McDonald’s sono italiani.
Un impegno non da poco, dunque, quello di portare lavoro in un paese come l’Italia che, secondo Dedola, pur rimanendo «fortemente attrattivo» per i grandi gruppi stranieri, soffre duramente la crisi e le «rigidità di un mercato del lavoro» che può ancora cambiare tanto. Un paese dove la disoccupazione giovanile è ferma a più del 44 per cento e non sembra intenzionata a calare.

Dedola, i vostri sono contratti “precari”?
Guardi, è un autentico pregiudizio. Non è così e sono i dati a dimostrarlo. Anzi, è vero il contrario. Il 94 per cento dei nostri dipendenti è assunto a tempo indeterminato, solo il 6 per cento è assunto con contratto a termine, e ciò per fare fronte a particolari picchi di produzione durante determinati periodi dell’anno. Quel 94 per cento, inoltre, è la somma di un 71 per cento di contratti a tempo indeterminato e di un 23 per cento di giovani a inizio carriera che sono assunti con contratto di apprendistato professionalizzante (che è per definizione anch’ess0 un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ndr).

Se il governo dovesse abolire l’articolo 18, assumereste di più?
Premesso che per ora abbiamo letto solo il testo della legge delega sul lavoro e che per capire cosa effettivamente cambierà occorre attendere i decreti attuativi, non credo che ci possano essere grandi cambiamenti nelle nostre politiche di assunzione. Perlomeno non nell’immediato. Stiamo assumendo e continueremo a farlo. L’Italia è un mercato importante per McDonald’s e presenta ancora grandi potenzialità; motivo per cui stiamo già programmando gli investimenti (500 milioni di euro) per il triennio 2015-2017. Detto ciò, non è una novità se le dico che sono diverse le aziende multinazionali che attendono importanti ammodernamenti nel mercato del lavoro italiano.

Cosa dovrebbe cambiare l’Italia per essere un mercato del lavoro ancora più appetibile?
Oltre alla burocrazia, l’elevato costo del lavoro, che è cresciuto più di quanto non sia cresciuta la produttività. Ciò dipende, oltre che dall’elevata pressione fiscale, anche da rigidità tipiche della contrattazione nazionale come, per esempio, gli automatismi negli scatti di anzianità. Mentre sarebbe molto meglio affidarsi alla contrattazione decentrata a livello aziendale, che permetterebbe di introdurre criteri di premialità legati al merito e alla produttività. Criteri che in Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna sono già da tempo realtà e che sono stabiliti di comune accordo tra azienda e lavoratori con l’avvallo dei sindacati locali. Penso che l’introduzione del salario minimo potrebbe aprire la strada a una soluzione di questo tipo.

L’articolo 18 non rappresenta in alcun modo un problema?
Non per noi, che pure, come tutti, constatiamo come ancora esista un elevato grado di incertezza del diritto del lavoro. Il problema, piuttosto, è che le decisioni in materia di licenziamento in Italia, sono ancora un po’ troppo appannaggio esclusivo dell’arbitrio del giudice. Occorre maggiore chiarezza affinché si possa pianificare lo sviluppo di un’azienda con totale serenità. Come vede, di passi avanti questo Paese ne ha ancora molti da fare, ma la direzione intrapresa è senz’altro quella giusta.

@rigaz1

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