“The rising” di Bruce Springsteen e l’arte dell’incontro

 “La vita è l’arte dell’incontro”. Me lo ripete spesso un mio amico. Lo dice un vecchio disco del 1969 di Vinicius Moares e credo anch’io che sia una profonda verità. La vita si svela a poco a poco, essa si concede “a tratti”, come su una tela, attraverso le aperture impreviste dell’incontro. Giocando sulla citazione mi sento di aggiungere che l’arte diventa viva in un incontro e non si può prevedere né quando, né come esso accada.

E’ stato così con molti artisti, uno di questi è il grandissimo Bruce Springsteen. Mi sono sempre avvicinato alla sua musica quasi per dovere: Springsteen va ascoltato, Springsteen va conosciuto. Ho provato a lungo ma l’amore non è mai nato. Tra di noi non ha mai funzionato. L’ho sempre considerato la faccia pulita, di plastica dell’America, in un’inconsapevole competizione con Dylan che invece ho sempre adorato.

Accade però che da qualche settimana ho in macchina “The Rising”, lavoro di Springsteen con la E Steet Band del 2002. Mi ha letteralmente rapito in pochi giorni: in questo album c’è il buio, il dolore e rapide aperture di luce. L’album, nei testi è interamente percorso dalla tragedia delle torri gemelle, ancora fresco nella memoria degli americani. Springsteen si fa portavoce della voce di un popolo ancora scosso dalla paura e se ne accolla il travaglio. Tuttavia basta poco per accorgersi che questo è solo un pretesto: a tema c’è quella ferita che scava; scava il cuore di tutti. La musica si dibatte tra violente aperure rock “alla Springsteen” e lente ballate in cui la voce del boss si spegne, si fa dimessa, dolente. E’ proprio quando il boss fa i conti con la propria ferita che raggiunge vette liriche uniche.

Come spesso capita, di tutto l’album mi colpisce una traccia minore, una di quelle che non si ricordano. Come in tutte le cose il vero rimane lì in fondo, in mezzo a tanto rumore e occorre scavare per vederlo brillare.

E’ la traccia numero 12, “You’re Missing”. L’organo e i violini ricamano un’elegia commovente: Le tazze del caffè sul bancone,
la giacca sulla sedia,
il giornale fuori sui gradini
ma tu non ci sei”. E allora manca tutto. Questo pezzo ferisce, lascia sospesi, senza fiato ma è di una lucidità disarmante: in mezzo alla tempesta o quando tutto è a posto il vero nodo è se tu ci sei. O se manchi. Crollano le torri, viene giù il mondo o in mezzo alla tranquillità apparente di una giornata di lavoro sei tu che manchi. Il resto intorno è vuoto contorno, decoro, pura maniera.

Anime che lo capiscono, caro boss, avrebbero dovuto conoscersi prima, ma senza rimpianti, ora l’importante è che ci siamo incontrati.

 

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