Per i terroristi islamici di Boko Haram anche il calcio è un peccato occidentale: a morte la Nigeria e tutti i suoi tifosi

L'altro ieri a Damaturu una bomba ha ucciso 21 persone radunate per vedere Brasile-Messico. Ecco perché in occasione del Mondiale i jihadisti africani hanno preso di mira il pallone e la nazionale

Il pacco bomba era in un risciò, esploso nei pressi di un negozio di Damaturu, nello stato di Yobe, fitto di gente perché trasmetteva in tv la gara dei Mondiali tra Brasile e Messico. Sono morte 21 persone nell’attacco dell’altro giorno, dicono dall’ospedale locale, i feriti sono numerosi e per quanto non vi sia stata alcuna rivendicazione ufficiale nessuno esita a credere che l’attentato sia opera di Boko Haram, l’organizzazione terroristica islamista che da anni semina morte nel nord della Nigeria. In un paese dove ormai gli assalti sono all’ordine del giorno, in realtà l’attentato era atteso per lunedì, giorno in cui giocava la nazionale nigeriana: alcuni stati della Federazione, Borno e Adamawa, avevano addirittura vietato a bar e rivenditorie di rimanere aperti per la diretta della partita, per evitare che gli assembramenti di persone potessero trasformarsi in facili obiettivi per i jihadisti.

ALTRI ATTACCHI. Sulla storia e l’indole di Boko Haram si è scritto tanto, ma questi giorni di Mondiali stanno portando a galla un aspetto dei terroristi nigeriani che fino ad oggi era stato poco considerato: il loro odio per il calcio. Sembra un paradosso in un continente come l’Africa che di calcio si nutre ovunque, dai campi nei villaggi in terra rossa agli stadi delle grandi città. Eppure per i jihadisti il pallone è uno dei segni più “peccaminosi” dell’influenza dell’occidente nella vita della Nigeria e per questo vogliono sradicarlo dalla loro società. I Mondiali sono una festa, ma fanno rima anche con business e consumismo, tutto di matrice europea o americana. Il capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, in alcuni video ha condannato questo sport, che corrompe i fedeli musulmani al pari dell’alcol. E il passato più recente testimonia che non sono solo parole: nemmeno 20 giorni fa una bomba piazzata nel piccolo stadio della città di Mubi, stato di Adanawa, ha ucciso 40 persone al termine di una partita di calcio tra due squadre locali. La sera in cui invece si giocava a Lisbona la finale di Champions League tra Atletico e Real Madrid, un autobomba è esplosa presso il View Centre di Jos, dove alcuni tifosi erano radunati per seguire la partita: è morto l’attentatore assieme ad altre tre persone.

LA NAZIONALE. Quindi niente dirette in luoghi pubblici quando scendono in campo le “Super Eagles” di Stephen Keshi. La nazionale nigeriana è tanto più invisa a Boko Haram in quanto, mentre i terroristi sono impegnati a combattere la loro “guerra santa”, in maglia bianco-verde giocano sia cattolici che musulmani, questi ultimi indicati dai jihadisti come «traditori venduti alle indegne dottrine dell’Occidente». «Ai terroristi spaventa l’idea che emerga l’armonia tra cattolici e musulmani», è il parere riportato dal Giornale di Ahmed Musa, attaccante musulmano 21enne in forza al Cska Mosca: quando gioca con la Nigeria spesso condivide il posto in campo con Emmanuel Emenike, cristiano che gioca al Fenerbahce. «Prima di ogni partita ci mettiamo in cerchio nello spogliatoio e preghiamo. Tutti insieme, abbracciati, invocando un Dio le cui sfumature sono soltanto linguistiche o di pronuncia». Lo stesso Keshi, il mister, è cattolico e a lui va chiesto il segreto di questa unione così virtuosa, che ha riportato la Nigeria a trionfare un anno fa in Coppa Africa e ora vuole far bene ai Mondiali. Ai fondamentalisti che accusano il calcio di distrarre la gente dai suoi doveri ha risposto diretto: «Il nostro dovere è quello di arrivare in semifinale. I miei ragazzi vogliono stupire il mondo, mostrando ciò di cui sono capaci».

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