Telecom. Riaprite quella porta

La storia recente di Telecom è «surreale» e simbolo del «decadentismo del paese». Per Vito Gamberale l’Italia deve tornare a investire in un’azienda strategica

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Non solo questione di business. Il passaggio di Telecom Italia nelle mani della francese Vivendi è piuttosto un problema di peso specifico del nostro paese nei rapporti con gli alleati del mondo occidentale. Soprattutto con gli Stati Uniti in un momento geopolitico decisamente instabile per il Mediterraneo. Intervistato da Tempi, Vito Gamberale non usa mezzi termini per descrivere i rischi che corre l’Italia con un addio definitivo all’ex monopolista delle telecomunicazioni. Ingegnere e manager della Prima Repubblica, Gamberale conosce del resto molto bene il tema perché non solo ha guidato la Telecom, ma ha anche creato Tim. Senza contare che, nel lontano 1997, provò ad assicurare al gruppo un futuro globale, con il tentativo di scalata a Vodafone, poi sfumato per via dell’opposizione del Tesoro. Per lui, l’intera storia recente di Telecom è «surreale» ed è il simbolo del «decadentismo del paese».

Ingegner Gamberale, Telecom è passata in mani straniere da tempo. Perché solo ora si parla di strategicità?
Appare strano che il governo si sia focalizzato su questo punto solo a seguito del problema Stx. Non vorrei che fosse uno strumento per far passare quella operazione perché sono due cose indipendenti. Su Telecom stiamo parlando di strategicità, di sicurezza, di ruolo che l’Italia ha con questo asset nei confronti degli altri paesi occidentali. Probabilmente Roma è rispettata dagli alleati anche perché possiede un nodo (i cavi sottomarini di Sparkle, ndr) strategicissimo per le telecomunicazioni.

Che cosa s’intende per strategico e, soprattutto, che cosa comporta?
La strategicità di un’azienda non è qualcosa che uno si inventa in maniera capotica. In tutta Europa, tutti i paesi di volta in volta rivolgono grande attenzione alle aziende ritenute importanti e assumono delle iniziative a loro difesa. Abbiamo visto recentemente la reazione della Francia sui cantieri navali Stx, promessi a Fincantieri dalla presidenza di François Hollande. Emmanuel Macron ha rimesso tutto in discussione definendolo un cantiere navale strategico. Ora, se un cantiere navale è strategico, s’immagini cos’è un’azienda che è proprietaria della rete a servizio del sistema di comunicazioni del paese. Non è un caso che non ci sia nessun paese fra i maggiori al mondo né fra quelli del G7, né del G10 o addirittura del G20 il cui l’ex monopolista pubblico sia finito in mano ad un gruppo privato straniero. Questo significa che il settore delle telecomunicazioni è ritenuto unanimemente di grande importanza.

Crede che gli asset di peso siano solo Sparkle e l’infrastruttura di rete?
No, sono convinto che lo sia tutta Telecom perché è la base per costruire il futuro delle telecomunicazioni italiane nell’era del web. Ora il focus si sta spostando su Sparkle perché poi l’Italia, oltre ad avere il suo ex monopolista in mani straniere, rischia di perdere anche il terminale di un nodo speciale, che raccoglie il fascio delle telecomunicazioni e dei collegamenti con l’Africa, l’Asia e l’America. È il nodo strategico internazionale più importante e delicato per l’Occidente. Pensi che, quando ero amministratore delegato del fondo F2i, trattai con Telecom l’acquisto di Sparkle, ma il governo si oppose. Disse che, data la valenza strategica, Sparkle non poteva essere venduta neanche ad F2i che è un fondo a maggioranza istituzionale. Per questo, anche rispetto a quanto accaduto nel resto d’Europa, è stravagante che l’incumbent italiano (ex monopolista pubblico, ndr) sia finito in mano ad un gruppo privato straniero.

Come è potuto accadere allora che Telecom venisse ceduta prima agli spagnoli di Telefonica e poi ai francesi di Vivendi?
Hanno delle responsabilità tutti i governi succeduti a Prodi che, nonostante abbia fatto la privatizzazione, ha sempre dato grande attenzione al tema delle aziende strategiche e ha avuto il coraggio di scendere in campo a difesa di asset importanti. Basti ricordare l’intervento che fece con il suo governo a tutela della nazionalità di Atlantia. È l’unico capo dell’esecutivo che ha avuto il coraggio, anche perché aveva le competenze, di intervenire a tutela della strategicità. Gli altri se ne sono fondamentalmente infischiati. Si sono girati dall’altra parte in nome di un superficialissimo e male interpretato concetto di libero mercato. Ma libero mercato non significa libertà di fare tutto ciò che si vuole su tutto ciò che è proprietà sensibile di un paese. Su questo tema, ha responsabilità anche la stampa nazionale che, evidentemente molto guidata da Telecom, non ha lasciato sufficientemente spazio ad un pensiero critico e indipendente.

L’obbligo di nominare un manager italiano ai vertici di Sparkle è una garanzia sufficiente per il nostro paese?

In Italia abbiamo una situazione di totale anomalia: c’è il rischio di perdere definitivamente un asset che ci dà potere e ruolo nei confronti dell’Occidente. E non facciamo nulla. Addirittura c’è stato un parere pro veritate in cui si dice che basta un italiano a dirigere Sparkle per risolvere la questione. Giustamente, ho percepito tra le righe della stampa che Paolo Gentiloni si è sentito offeso. Mi auguro che il premier prenda in mano la questione. Bisogna ridiscutere il tema Telecom perché il gruppo è in totale declino e abbandono. È diventato il simbolo del decadentismo globale che l’Italia sta avendo. Al di là delle chiacchiere.

In questa fase, però, l’Italia sta investendo nella fibra attraverso la controllata dell’Enel e di Cdp, Open Fiber…
Premesso che il passaggio definitivo di Telecom in mani straniere sarebbe una perdita di credibilità nei confronti di tutto il mondo occidentale, e certamente anche degli Stati Uniti, come se non bastasse stiamo assistendo in Italia a delle cose ridicole in tema di strategia nazionale delle telecomunicazioni: ci si mette a fare concorrenza sulla rete a banda larga. È come dire che si costruiscono delle reti ferroviarie in parallelo a quelle delle ferrovie per fare la concorrenza a Rfi. È una cosa costosa e inutile.

Qual è la sua ricetta per Telecom?
Si può creare un nucleo para-istituzionale importante che può andare dalla Cdp ai fondi previdenziali. Tutte istituzioni finanziarie del paese.

È possibile immaginare anche il coinvolgimento delle banche italiane in un’“operazione di sistema”? In passato è avvenuto con la cassaforte Telco, ma la cosa non ha funzionato perché poi Intesa, Generali e Mediobanca hanno venduto a Telefonica…
Le banche non dovevano entrare in Telecom. Lo hanno fatto non sapendo dove entravano e cosa fare. Poi si sono trovate questa imbarazzante partecipazione che hanno strapagato e che perdeva continuamente valore. Come un carbone ardente se lo passavano da una mano all’altra in attesa di poterlo buttare fuori e l’hanno dato al primo che si è dimostrato interessato. Così sono entrati gli spagnoli e poi i francesi. Ma in realtà le banche retail non hanno alcuna funzione in una cosa del genere perché non hanno né le competenze né il ruolo. Altra cosa è la Cdp, altra cosa sono gli investitori istituzionali del paese. Altra cosa è lo Stato che è presente con orgoglio nel capitale dell’ex monopolista pubblico sia in Francia che in Germania.

Bisogna quindi ripartire da un investimento pubblico direttamente nel capitale di Telecom?
Sì. Direi proprio di sì.

Foto Ansa

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