Te Deum laudamus per l’umanità che fai rifiorire

Nella sfida impossibile coi ragazzi di strada di Yaoundé è facile farsi travolgere dai problemi. Ma è stato uno di loro a dirmi: «Chiamandoti dove ti ha messo, Dio non si era sbagliato»

Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 29 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti) e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2016 Tempi ospita i contributi di Benedict Nivakoff, Alex Schwazer, Rone al-Sabty, Ilda Casati, Luigi Amicone, Siobhan Nash-Marshall, Tiziana Peritore, Therese Kang Mi-jin, Anba Macarius, Roberto Perrone, Pier Giacomo Ghirardini, Farhad Bitani, Maurizio Bezzi, Renato Farina, Pippo Corigliano, padre Aldo Trento, Mauro Grimoldi. Il prossimo numero di Tempi sarà in edicola da giovedì 12 gennaio 2017.

Padre Maurizio Bezzi, missionario del Pime, è in Camerun da quasi trent’anni. Da venticinque si dedica agli mboko, i ragazzi di strada della capitale Yaoundé, e dal 2002 dirige il Centro diurno Edimar, dove si prende cura di centinaia di ragazzi che vivono alla giornata.

Qualche giorno fa rileggevo il testo del volantone di Natale di Cl del 1995: «Nulla è così commovente come il fatto che Dio si sia fatto uomo per accompagnare con discrezione, con tenerezza e potenza il cammino faticoso di ognuno alla ricerca del proprio volto umano» (Luigi Giussani). Guardando la vita di quest’anno al Centro Edimar-Princesse Grâce, queste parole assumono una rilevanza particolare. È proprio così: c’è una mano provvidenziale che accompagna il faticoso cammino di ognuno.

Quest’opera è nata quattordici anni fa, come spazio di accoglienza e di educazione per i ragazzi di strada di Yaoundé, la capitale del Camerun. Sono missionario in questo paese da quasi trent’anni, e da venticinque sono in rapporto con quelli che qui chiamano mboko, bambini e ragazzi che hanno lasciato la casa o il villaggio di origine e vivono per le strade della capitale. Ho cominciato visitandoli la sera vicino alla stazione ferroviaria, portando loro medicine e applicando antibiotici sulle ferite infette. Con amici africani e italiani abbiamo poi dato vita a questo centro diurno che vuole essere un’occasione per i ragazzi di entrare in rapporto con adulti che vogliono il loro bene e che partono da un’ipotesi positiva sulla loro vita. Sono centinaia quelli che frequentano nel corso della settimana.

La verità di quello che si legge in quel vecchio volantone di Natale è evidente nella vita dei tanti giovani allo sbando tra la strada, la prigione e la droga, che vengono ogni giorno al Centro. La sfida, per una realtà educativa come la nostra, è andare oltre la corazza che si sono costruiti e toccare loro il cuore provocando domande sul senso della vita. Sfida dura, ma affascinante: perché quando si arriva a toccare il cuore di un ragazzo che ha una visione negativa di sé, si vede una umanità rifiorire. Cristiani, musulmani, animisti e quant’altro, li vedi rinascere nell’avventura della vita, e fare passi veri e belli. Questo richiede tempo, pazienza, tanta pazienza, che è poi la Misericordia che Dio ha con noi. Un giorno, dopo la grande riunione del mercoledì – uno dei momenti più importanti della vita del nostro Centro – un ragazzo che partecipava, un po’ assonnato, all’incontro mi ha detto qualcosa di veramente sorprendente: «Sembra che non recepiamo quello che dite, ma in realtà quando usciamo di qui il mercoledì sera, ciò che abbiamo ascoltato ci rode dentro. Non dovete scoraggiarvi, tu e gli educatori!».

Scoprirsi importanti a trent’anni
Un altro mi diceva in questi giorni: «È la prima volta, adesso che sono arrivato al trentesimo compleanno, che il giorno della mia nascita mi sembra importante. Ma non rimpiango nulla della mia vita, perché anche i quattordici anni che ho vissuto in strada sono stati guidati da Qualcuno che mi voleva dove sono oggi. Perché, di questa mia vita, ho scoperto il senso».

Mi colpisce sempre quello che dice san Pietro nella sua lettera ai pastori: «Pascete il gregge che Dio vi ha affidato, volentieri; sorvegliandolo, non per forza, ma di buon animo» (1Pt 5,1-4). Quando problemi e preoccupazioni sembravano avere il sopravvento e togliermi la serenità, un giovane con un passato difficile mi ha ripreso e incoraggiato in modo inaspettato: «Chiamandoti dove ti ha messo, Dio non si era sbagliato», ha detto. Il Verbo fatto carne abita sempre fra noi e ci accompagna nella fatica del cammino. In Sua compagnia la vita cresce.

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