Te Deum laudamus per il sacrificio di Notre-Dame

«Bisognava salvare la cattedrale, ma dov’è il corpo di Cristo?». La testimonianza del cappellano dei pompieri, eroe nell'incendio di Parigi

Articolo tratto dal numero di dicembre di Tempi

Quando nella serata di lunedì 15 aprile 2019 un pennacchio di fumo sempre più spesso riempie il cielo di Parigi, un grido esce da tutte le bocche: «La cattedrale di Notre-Dame è in fiamme!». Trascorso il tempo dell’emozione, passati anche quelli dello stupore e dell’azione, ci resta ora di tornare a riflettere su qualcosa che molti vivono come un dramma nazionale se non internazionale, che supera i limiti del fatto di cronaca.

Due approcci sono possibili. Uno è quello cronologico, che permette di seguire la lotta dantesca che si è svolta fra l’acqua e il fuoco, fra la ragione degli uomini e la follia delle forze della natura. L’altro è quello spirituale, che riguarda l’edificio stesso e il tempo liturgico durante il quale si è prodotto l’avvenimento, cioè la Settimana santa.

Le varie cronache pubblicate nell’insieme della stampa scritta, radiofonica e televisiva ci hanno informato a sufficienza sullo svolgimento dei fatti e delle varie azioni compiute. C’è bisogno di ricordare che il cappellano dei Vigili del fuoco di Parigi si stava recando a una cena comunitaria alla scuola militare dopo aver reso omaggio ai suoi predecessori della cappellania cattolica riaccendendo la fiamma sotto l’arco di trionfo insieme agli altri cappellani riuniti attorno al loro vescovo, monsignor Antoine de Romanet, come avviene ogni lunedì della Settimana santa? C’è bisogno di ricordare che questo stesso cappellano, essendo di turno, è raggiunto al telefono dal Centro operativo 18/112/17 perché si rechi sui luoghi presso il generale di divisione Jean-Claude Gallet che comandava la brigata? Effettivamente un regolamento descrive dettagliatamente il ruolo di ciascuno in caso di intervento, fra cui il cappellano di brigata che appartiene al ristretto gruppo di ufficiali esperti incaricati di consigliare il comando e che sono identificati con un bracciale verde. Ecco perché, giunto sul posto, il cappellano si fissa due priorità: il salvataggio della Santa corona di spine insieme al patrimonio culturale e cultuale, e la messa in sicurezza del Santissimo Sacramento, Gesù nell’ostia, realmente presente col suo corpo, la sua anima, la sua umanità e la sua divinità.

Recuperata la preziosa reliquia grazie all’azione combinata di tutti, facendo tesoro dei consigli di un intendente della cattedrale e di un architetto degli edifici storici di Francia si può organizzare il recupero delle opere contenute nell’edificio sacro, fra le quali una meravigliosa Vergine col Bambino situata nella seconda cappella a destra. Il rischio di crollo dei frontoni nord e sud e la propagazione dell’incendio al campanile nord dovevano interrompere questa piccola catena umana di salvataggio delle opere, poste immediatamente sotto la protezione di funzionari di polizia della prefettura che sono stati esemplari in ogni momento. Restava Gesù, ovvero il corpo di Cristo prigioniero del tabernacolo e circondato da una pioggia di materiale incandescente che non smetteva di precipitare dalle volte qua e là sfondate e minacciato da un braciere crepitante ai piedi dell’altare maggiore. Recuperate le chiavi del tabernacolo col concorso di un sacrestano, il cappellano penetra un’ultima volta all’interno della cattedrale per prendere il Santissimo, collocato nella cappella di san Giorgio, e portarlo, non prima di aver impartito una benedizione col ciborio per lottare contro il fuoco con mezzi soprannaturali, nella sicurezza della sacrestia dei canonici.

Resta da trattare l’approccio spirituale. Come vedere un senso in ciò che supera la semplice catastrofe culturale e turistica? E soprattutto perché il mondo intero si è acceso all’annuncio di questa notizia? A partire della Genesi (15,17) sappiamo che il fuoco trascende la semplice descrizione del mondo che facevano gli antichi che lo consideravano uno dei quattro elementi alchemici ed è il segno risplendente nella storia dell’umanità dei rapporti di Dio col suo popolo. Nell’Antico Testamento il fuoco divorante dei sacrifici rappresenta il desiderio di purificazione totale e la volontà di annichilimento davanti a Dio. Nei profeti questo fuoco diventa messa alla prova per purificare i cuori come l’oro è purificato nel crogiolo. Il fuoco è simbolo di saggezza e di pietà e conduce ciascuno sul cammino della Speranza col suo ardore che trionfa su tutto. I cristiani hanno conservato questo linguaggio, ma soprattutto la Chiesa nel suo insieme vive del fuoco che sono Cristo e il suo insegnamento. Non abbiamo forse, in occasione della veglia di Pasqua, acceso il fuoco dal quale viene presa una fiamma che, posta sul cero pasquale, ha illuminato l’interno delle nostre chiese e, così speriamo, quello delle nostre anime e delle nostre vite?

Ritorno alle ceneri

Avevamo cominciato la Quaresima ricevendo le ceneri e avevamo sentito il sacerdote dire: «Ricordati uomo che polvere sei e polvere ritornerai». Non è un’espressione di filosofia nichilista, ma un richiamo al mistero della salvezza che è dato da vivere a ciascuno. San Paolo ci ricorda che è illusorio credere che si potrà partecipare alla vita eterna se prima non siamo saliti sulla Croce per morirvi con Cristo e resuscitare con Lui. Così la cattedrale tornata alle ceneri non doveva esserlo che per rinascere più bella e più maestosa ancora e proseguire il suo cammino nella storia degli uomini, faro della Speranza in un mondo dove i materialismi atei hanno privato l’uomo dei suoi punti di riferimento esistenziali. L’arcivescovo di Parigi, monsignor Michel Aupetit, nella sua omelia di Pasqua a Sant’Eustachio ha posto davanti alle coscienze di tutti in modo definitivo la realtà di quello che è stato vissuto. Sì, bisognava salvare la cattedrale; sì, bisognava salvare il tesoro e le sue meraviglie di oreficeria; sì, bisognava salvare l’insigne reliquia della Santa corona, ma dov’è il corpo di Cristo? Tutto ciò che è stato elencato non ha altra ragion d’essere ed è stato prodotto dal genio umano non per altro che per una sola realtà: l’Emanuele, il Dio con noi, Dio in mezzo a noi. Senza Cristo nulla ha senso e non può evitare di essere fatuo, vanità di ogni vanità. L’Eucarestia continua a salvare il mondo e continuerà a salvarlo fino alla fine dei tempi, tale è la volontà di Dio.

Come meravigliarsi allora dello slancio di solidarietà che, appena le ceneri si sono raffreddate, ha percorso il nostro pianeta e attraversato le culture, i paesi e gli uomini? Certo, c’è la volontà di non lasciar scomparire un capolavoro del patrimonio mondiale, ma noi vogliamo vederci anche, in un modo misterioso, il desiderio universale che la vita trionfi sulla morte. Non abbiamo forse cantato in occasione del santo Triduo «morte, dov’è la tua vittoria, morte dov’è il tuo pungiglione?».

Nessuno scandalo quei doni

Dunque tacciano i moderni Giuda, scandalizzati come i farisei dei doni che la catastrofe ha provocato. Occorre loro ricordare la risposta pungente di Gesù all’apostolo che si meravigliava che non fosse stato venduto il profumo prezioso per girare l’importo ai poveri? La cattedrale non è un ammasso di pietre, anche se splendide, essa è lo scrigno del corpo di Cristo. Quando è stata edificata, la società medievale conosceva una grande arretratezza sociale e tuttavia i costruttori non hanno esitato a realizzare quest’opera meravigliosa, accompagnandola nelle vicinanze con un edificio, l’ostello di Dio, che permetteva di ospitare i più poveri.

Ecco la doppia sfida alla quale si trova davanti la nostra società: rimettere Dio al centro delle nostre vite e avere cura costantemente dei nostri fratelli sfavoriti. Miseria spirituale e miseria materiale diventano l’oggetto di una sola e medesima lotta. Non può esserci una cosa senza l’altra. Il cammino del nostro mondo che cerca in tutti i modi di ritrovare l’incanto del quotidiano si è incrociato di nuovo con il meraviglioso, come era accaduto in occasione della morte del colonnello Arnaud Beltrame. Uomini e donne sono sempre capaci anche oggi per la follia dell’amore a Cristo di donare la propria vita per quelli che amano.

Foto Ansa

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