C’è l’accordo, Sterling venderà i Clippers (ma chi si ricorda più dei soldi incassati dall’amante per la vendita dello scoop?)

Il proprietario dei Clippers fuori dal campionato di basket per i suoi insulti razzisti. Quasi nessuno bada più al fatto di come quelle indifendibili confidenze siano state ottenute

«Uno sfogo di gelosia rivolto a un’amante che non volevo fosse pubblicato non può offendere le regole dell’Nba». Non è servita la difesa di Donald Sterling, il patron della squadra dei Los Angeles Clippers accusato di razzismo e lo scorso 29 aprile squalificato a vita dal massimo ente statunitense di basket. Alla fine ieri sera è arrivata la cessione della squadra: secondo Espn, il milionario è stato dichiarato mentalmente incapace e le sue quote sono quindi passate nelle mani della moglie Shelly, libera a quel punto di trattare la vendita del club all’ex-direttore di Microsoft Steve Ballmer. L’accordo è stato raggiunto per la cifra di 2 miliardi di dollari. Così Sterling non ha dovuto neanche attendere il verdetto dell’assemblea dei proprietari degli altri club, che avrebbero dovuto votare la mozione per costringerlo a vendere la squadra. L’avvocato dell’ormai ex-patron dei Clippers non ha ancora confermato la cessione della squadra, un atto che chiuderebbe così questa vicenda di sport e razzismo, tanto triste quanto ambigua.

UN SITO DI GOSSIP. La cronaca: il 25 aprile scorso Tmz, portale statunitense di gossip, pubblica la ricostruzione di una telefonata tra Sterling e Vanessa Stiviano, la sua amante, in cui l’uomo invita la fidanzata a non presentarsi più alle partite dei Clippers facendosi accompagnare da uomini di colore (ovviamente, l’espressione usata è molto più colorita e offensiva).
In poche ore, cresce l’indignazione di tutto il mondo del basket (e non solo). Quel giorno gli stessi giocatori dei Clippers indossano le divise al contrario in una gara di campionato. In poco tempo, l’Nba ha verificato le parole di Sterling e soltanto tre giorni dopo arriva la condanna: multa di 2,5 milioni di dollari, squalifica a vita e obbligo di vendere la squadra.

PENE DRACONIANE. La perentorietà e il modo sommario con cui si è arrivati a queste decisioni ha lasciato molti perplessi: per i tempi veloci di esecuzione, per il totale disinteresse dato al contesto in cui quelle parole offensive sono state pronunciate, per il canale tutt’altro che solenne (un sito di gossip) da cui sono state rese pubbliche.
In tanti, poi, hanno ricordato quando nel 2011 Kobe Bryant fu colto a dare del «finocchio» a un arbitro durante un match contro gli Spurs: inchiodato dalle telecamere, la stella dei Lakers fu multata “solo” con 100 mila dollari e nessuna giornata di squalifica.
«Non crediamo che una corte degli Stati Uniti possa applicare le pene draconiane imposte a Sterling in questa circostanza», sono state le parole del suo avvocato, in attesadel voto degli altri soci dell’Nba il 3 giugno. Se si fosse arrivati all’assemblea coi Clippers ancora nelle mani di Sterling, c’era da attendersi che i presidenti lo avrebbero spinto loro a vendere la squadra: difficile aspettarsi un voto in sua difesa da tanti proprietari, in un campionato dove più di tre quarti dei giocatori sono di colore.

ALTRI EPISODI DI RAZZISMO. Qualcuno, piuttosto, pensa che la telefonata tra Sterling e Stiviano sia diventata il grimaldello impugnato dall’Nba per far fuori quell’uomo così brusco e “politically incorrect”, che già in passato fu accusato di razzismo. Il caso più famoso fu nel 2006, quando il proprietario dei Clippers patteggiò quasi 3 milioni di dollari per una causa di discriminazione razziale nella concessione di alcune case ai senza tetto di Los Angeles: non voleva che gli appartamenti andassero ad afroamericani e ispanici, poiché, diceva, «non fanno altro che bere, fumare e girare a zonzo nel quartiere». All’epoca, il mondo del basket non protestò, a differenza di quanto accaduto in quest’occasione. Là c’era in ballo una causa giudiziaria, qui l’unica prova con cui lo si attacca è la frase che una donna ha registrato e venduto ai giornali per incastrarlo.

@LeleMichela

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