Sposerò Annibale carrarmato Canessa

Dichiarazione d’amore sotto forma di recensione per il protagonista del noir milanese di Roberto Perrone. Ragazze, uno così vi farà sbucciare il cuore

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Ma che ne sapete voi di Annibale Canessa, uno che ci provi a non fare la faccia della ragazzina con la bocca spalancata quando, impenetrabile, si slaccia una fondina alla caviglia che nasconde un revolver dall’aspetto tozzo ed efficace, ma poi ti chiede se le scarpe che hai ai piedi sono di Sergio Rossi, «e questa volta Carla non poté fare nulla per trattenere l’espressione da bambina stupefatta, mentre il suo sguardo passava dalle scarpe con un tacco non straordinario (sette e mezzo) a un uomo che invece lo era proprio». Straordinario Annibale Canessa lo è davvero, e non è affatto prematuro avvisarvi, prima ancora che abbiate letto il romanzo di Roberto Perrone, La seconda vita di Annibale Canessa, che vi innamorerete perdutamente di lui.

Di Canessa, ovviamente. Perché di Perrone, un giornalista che è già stato molte cose nella vita, lo dovreste essere già da diverso tempo. Una vita al Corriere e diversi romanzi d’amore, di sport e riconoscimenti dopo, il nostro autore ha dato alle stampe un noir per Rizzoli. Che inizia negli anni di piombo. E questa è una notizia bellissima perché non c’è niente di più eccezionale che scrivere un noir sugli anni di piombo in un mondo ultrasaturo di noir e di fantasmi degli anni di piombo, dove le vicende di ispettori, commissari, magistrati, ex brigatisti saltano fuori da pagine, giornali, fiction con la stessa facilità con cui una donna si convince a comprare un paio di scarpe in saldo che non le servono affatto.
È bellissima perché in 416 pagine Perrone fa una cosa molto poco ortodossa – checché dichiari il suo debito allo scrittore francese Gerard de Villiers, padre di Sua Altezza Serenissima Malko Linge diventato celebre in Italia grazie alla pubblicazione della serie Segretissimo –: li fa impallidire tutti e ci fa sentire la struggente mancanza di un prosieguo, vorresti saperne maledettamente di più di quello che è accaduto subito, immediatamente dopo la fine del libro.

Perché Annibale Carrarmato Canessa, leggendario uomo di punta nella lotta al terrorismo fino al 1984, quando accade qualcosa di terribile che lo porta a lasciare l’Arma ed esiliarsi nella lillipuziana baia ligure di San Fruttoso per occuparsi del ristorante di un’anziana zia, non è uno di quelli là sopra, non è uno già visto, uno di noi, non è un uomo qualunque, in lui rivivono meravigliosamente e finalmente tutte le ragioni che fanno sbucciare il cuore a una femmina: un maschio scolpito nella pietra dal rigore della legge, irruente, forte, deciso, pieno di misteri da scoprire, di distanze da colmare, di vuoti da riempire e che non ha paura mai. Che sorride, sa commuoversi, che scende in particolari senza mai perdere il filo, che scaccia fumo e idee con la stessa mano.

Noialtre cialtrone ci siamo cascate fin dalle prime pagine, quando c’è già un uomo a terra crivellato dai proiettili di una Tokarev tt33 nella versione jugoslava, e lo sguardo muto di un ragazzino sporco di sangue che non molla la mano del padre e fissa il suo sicario; quando molte ombre sono già calate sulla Procura di Milano, quando si sono già aperte tante domande sulle vite di loschi figuri, politici, killer, giornalisti e ufficiali dei Servizi segreti, di cui sono intrisi gli anni di piombo e i giorni nostri; ci siamo cascate non appena Annibale irrompe nel romanzo schizzando fuori dalle acque gelate della baia di San Fruttuso, con i polmoni in fiamme, gli occhi pieni dell’azzurro del cielo e del verde della macchia mediterranea che circonda la piccola baia, dopo essersi immerso a 17 metri di profondità per recitare il Padre Nostro aggrappato al basamento della Statua del Cristo degli Abissi. Per i vivi e per i morti.

Poco dopo verrà a sapere che il fratello Napoleone, con cui non parla da trent’anni, è stato appena massacrato da una raffica di kalashnikov a Milano, accanto a una vecchia conoscenza assicurata anni prima alla giustizia da Canessa: Pino Petri, sanguinario brigatista riapparso dal passato con un segreto per il quale c’è un sacco di gente che riprende a sparare, morire per strada, mentire, riaprire dossier sepolti da uomini e logiche di potere. Riassumere altro è impossibile, ogni pensiero è trasformato sapientemente da Perrone, che possiede questa qualità narrativa in misura decisamente insolita, in evento e indizio, e ogni evento e indizio assurge a infinita variazione della vita così com’è: popolata di domande, vendette, popolata dal male e inganni, ma anche da una poderosa densità umana, che al centro di tutto mette la ricerca (o la paura) della verità. La verità. Non la giustizia. La conversione. Non il pentimento.

Vecchi covi coi fiaschi sul tavolo
È il romanzo più antigiudiziario del mondo quello che ha cura fin nel dettaglio non di ciò che ti aspetti, ma soprattutto di ciò che non ti aspetti, dell’imprevedibile, che solo alla fine darà ragione di tutti gli indizi, i rapporti, le trame, certo, ma soprattutto di tutte le tracce di cui Perrone ha disseminato il romanzo e che trovano compimento in una grandiosa testimonianza. E che c’entrano il traffico di droga come movente di una lunga teoria di morti, chiese, palazzi, vecchi covi con i fiaschi sul tavolo attorno a cui si riuniscono i brigatisti, lussuose ville di magistrati, scoop di redattori, la sede del Corriere della Sera e quella della Procura di Milano con quelle parole, «fede e dedizione», impresse nel lettore fin dall’inizio del romanzo?

Dovete leggerlo, Annibale Canessa, perché questo romanzo non è un passatempo in cui scuse e confessioni fungono da remissione dei peccati, ma diventano un vaccino alle anestetizzanti giornate dei ricordi di quegli anni, capace di onorare la memoria dei morti ammazzati e la vita dei vivi; un romanzo pieno di passioni: la buonissima cucina, le bellissime donne come Carla, quella granculo di giornalista con le Sergio Rossi ai piedi e lo sguardo di Canessa arrampicato addosso, che fanno breccia nei cuori malandati, gli scorci di Milano nelle sere d’inizio estate: dovete leggerlo voi, uomini, per ritrovare il senso del maschio fatto e finito che sfiora il limite, e talvolta lo supera, per raggiungere il suo scopo, se c’è di mezzo un terrorista o un assassino, ma soprattutto una promessa fatta a una bambina. E voi, donne, così banalmente devastate dal Freddo, il criminale del Testaccio di Romanzo Criminale, preparatevi a riscaldarvi con un uomo libero che solo una vicenda di vita e morte poteva far schizzare fuori dal passato e dalle acque gelide di San Fruttuoso.

Foto Ansa

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