Spagna, finita l’era Zapatero: i popolari di Rajoy stravincono – RS/2

«I miei soli nemici saranno la disoccupazione, il deficit, il debito. Non ci saranno miracoli, non li avevamo promessi, ma con lavoro, serietà e costanza i risultati arriveranno». Così Mariano Rajoy dopo la vittoria delle elezioni in Spagna, con il 44 per cento delle preferenze ottenute, cioè la maggioranza assoluta in Parlamento con 186 deputati

Maggioranza assoluta al centrodestra del Partito poplare, in Spagna, miglior risultato di sempre. Mariano Rajoy sarà il premier che dovrà tentare di far riemergere la Spagna dal profondo rosso dei conti pubblici e privati. Il Pp ha ottenuto dieci milioni di voti, il 44 per cento per un totale di 186 parlamentari. Rajoy ha parlato di «enorme responsabilità davanti alla peggiore congiuntura in trent’anni» perché «dalle decisioni che prenderemo non dipende il benessere della Spagna per i prossimi anni, ma per i prossimi decenni. I miei soli nemici saranno la disoccupazione, il deficit, il debito. Non ci saranno miracoli, non li avevamo promessi, ma con lavoro, serietà e costanza i risultati arriveranno».

Rajoy ci aveva già provato due volte. Tutte due andate male, la seconda malissimo. Era marzo, 2008. Zapatero era già in difficoltà, la crisi iniziava a chiedere i primi sacrifici, l’immagine del socialista vacillava. Mariano correva per vincere e non si era risparmiato nulla. Comizi, fatiche, critiche, sgomitate dall’interno del suo partito, tradimenti, i sacrifici della moglie Elvira a casa con i due figli a occuparsi di tutto il resto. Poi erano arrivati i risultati, inaspettati, crudeli. Le telecamere avevano inquadrato i suoi occhi increduli. Labbra strette per trattenere le lacrime, la moglie accanto sotto braccio come a sostenerlo. Pochi sarebbero stati disposti a ripresentarsi per la terza volta. La battaglia all’interno del partito dopo la caduta era stata durissima, Esperanza Aguirre, «la dama di ferro» aveva capeggiato contro di lui una rivolta senza esclusione di colpi. Lui lo sa, si ricorda ma perdona, proprio come un politico vero. «C’è chi non mi ha appoggiato nel partito. Non abbiano timori – li rassicura oggi- ho dimenticato tutto»” (Giornale).

“Diverso in tutto Rajoy il calmo da Zapatero il fenomeno, la meteora che allora era riuscita a bruciare tutte le tappe, a evitare la gavetta, quella pesante. Lui no, Mariano è in politica dal 1981, allora era deputato regionale nel parlamento galiziano per Alianza Popular, il partito conservatore postfranchista fondato da Manuel Fraga. È in quegli anni che prende forma anche il suo look: nel 1979 rischia di morire in un gravissimo incidente d’auto. Restano delle cicatrici profonde sul volto che decide di coprire con la barba. Sono i due governi Aznar a dargli finalmente lustro. Rajoy diventa ministro della Cultura e ministro dell’Interno e portavoce del governo poi” (Giornale).

“Oggi, sette anni dopo il modernismo di Zapatero la Spagna vuole cambiare toni. E riecheggiano i titoli di coda di una festa in piazza durata fin troppo. Sulla Spagna progressista e moderna, paladina di sfilate gay e divorzi super veloci, può calare il sipario. Esce di scena il governo progressista, quello delle quote rosa a ogni costo, se ne va il laicista, il femminista Zapatero. Il «frivolita» – come lo chiamano adesso – lascia; va a casa e si porta dietro cocci e rovine. In tempo di crisi gli spagnoli hanno deciso di puntare sul concreto. Al suo posto entra il conservatore, il cattolico, il moderato: il politico vecchio stampo. Pacato, forse troppo, come lo accusano i suoi critici. Figlio di un giudice, 56 anni, anche lui laureato in giurisprudenza, e orgogliosissimo delle sue origini: «Mi sento galiziano fino alla punta delle dita», dice. Una rivendicazione che sa anche un po’ di sfida, soprattutto verso tutta quella stampa un po’ snob che non lo ha mai amato. «Il provinciale galiziano», così lo hanno apostrofato molte volte. Lo accusano di essere noioso, incerto, per niente carismatico, restio alle decisioni difficili. Lui si è sempre difeso rintanandosi nella sua alleata migliore: la pacatezza” (Giornale).

“«Non sono né vago né indeciso, ma mi piace riflettere prima di agire». Mariano così diverso da Josè Luis Zapatero, ma così diverso anche da Aznar, suo predecessore e suo padrino politico. Questa volta ha fatto tutto il destino. Lui ha solo dovuto gestire il progressivo crollo di popolarità dei socialisti, mantenendo il partito a metà strada. Da fuori sembra facile. Lui ce l’ha fatta perché così è la sua natura: né falco né colomba, anche se i suoi nemici continuano a chiamarlo grigio” (Giornale).

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