Spadafora e il marketing del coming out

Nell'epoca del Pride permanente nessuno pretende l'altezza di Pasolini o Testori, ma la riduzione dell'"uscire allo scoperto" a spottone non può non ricordarci una certa sproporzione tra la "sindrome dell'ufficialità" e la libertà di Dalla o Nannini

Il deputato M5S, Vincenzo Spadafora, ha fatto coming out da Fabio Fazio a Che tempo che fa (foto Ansa)

Dunque l’ex ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha fatto coming out in prima serata, intervistato da Fabio Fazio davanti alle telecamere di Che tempo che fa. Lo ha fatto, commuovendosi, perché pensa «che la vita privata delle persone debba rimanere tale, ma penso anche chi ha un ruolo pubblico, un ruolo politico, abbia qualche responsabilità in più». Perché «io sono anche molto cattolico, può sembrare in contraddizione ma non lo è affatto». Perché «in politica l’omosessualità viene usata anche per ferire, per colpire l’avversario, con un brusio che io stasera volevo spegnere». Perché «da domani forse sarò più felice perché mi sentirò più libero». E perché doveva vendere il suo libro, Senza riserve, fresco di stampa per Solferino, non lo diciamo?

Spadafora, o della “sindrome dell’ufficialità”

C’è un fatto molto serio nella vicenda Spadafora, il coming out, ma c’è da chiedersi dopo gli infiniti pride, le call to action per il ddl Zan, l’occupazione di media, piazze, stadi europei e podi olimpionici, genuflessioni e pubblicità arcobaleno ovunque cosa resti al fondo di questa «sindrome dell’ufficialità» – così la chiamava Giovanni Testori – se non la riduzione della propria identità o del proprio orientamento sessuale a strumento di marketing. Non c’è, nell’“uscita allo scoperto” a favore di telecamere per vendere un libro il reiterarsi di una auto-oggettificazione, l’idea che il valore di una persona dipenda da come gli altri la percepiscono o debbano percepirla? Non è un nuovo genere letterario quello del coming out, titolato sui media e ritirato in libreria? E mica si parla di una pecetta a ostaggio politico: per capirci, a dispetto del titolo, Fuori dagli schemi, anche l’ex calciatrice Carolina Morace ha scelto un anno fa di seguire lo schema e di fare coming out dalle colonne del Corriere della sera per lanciare il suo libro.

Ora, scrive Dagospia che secondo i “bene informati”, l’uscita di Spadafora a pochi giorni da quella del giornalista Alberto Matano davanti alle telecamere della Vita in diretta («è successo anche a me, quando ero adolescente», ha detto commentando un servizio sui casi di omofobia facendo incetta di complimenti affettuosi al suo “coming out”, «l’ho provato sulla mia pelle, quindi so cosa significa»), sarebbe stata «studiata a “tavolino” dai due amici per uscire sui giornali quasi nello stesso momento e mettere a tacere i vari brusii che accompagnano da anni le loro carriere e le loro manovre. Da Matano perché sapeva del libro di Spadafora, ormai il suo era il segreto di pulcinella e la bocciatura del ddl Zan gli ha fornito un assist perfetto per fare un coming out proprio dalla Vita in diretta. Da Spadafora ufficialmente per lanciare il libro presentato da Fazio ma anche per disinnescare attacchi politici o inchieste che potrebbero mettere in piazza i suoi gusti sessuali». Tralasciando il fatto che proprio per «mettere a tacere le voci che circolano» un anno fa Matano, intervistato da Chi, aveva invece proclamato «non sono gay», in che modo l’affermazione di una propria esistenza sociale basata orgogliosamente sul proprio orientamento sessuale contribuirebbe a sollevare gli omosessuali dalla condizione di panda del Sichuan, cioè categoria protetta da tutelare attraverso leggi “speciali”?

Zan, la moda e la pretesa del coming out

Abbiamo scritto, alla ripresa delle manfrine sul ddl Zan: «Fossimo omosessuali ne avremmo le scatole piene di tutte le Cirinnà e i Zan che ci usano per prendere voti, per vendere libri, per le photo opportunity davanti alle panchine arcobaleno nei parchi. Non c’è condivisione, grazia, amicizia, ma solo calcolo, strategia e lagna in questo circo messo in piedi da una sinistra cinica che non vede la persona, ma il suo genere, non vede il fratello, ma il suo istinto, non vede il mistero della condizione umana, ma la sua etichetta». Abbiamo ricordato Testori («Tutto ciò che è in più – approvazione, giustificazione, esternazione, spettacolarizzazione dell’omosessualità – lo trovo “fuori”, non necessario, non utile. Non aiuta a star meglio, ad essere più felici») e Lucio Dalla che a richiesta esplicita di un coming out che avrebbe contribuito alla battaglia sui diritti rispondeva: «Ma no cazzo, ma non è vero!». Evidentemente la senatrice forzista Barbara Masini facendo coming out su Repubblica a favore di ddl Zan riteneva di avere qualche numero in più di Dalla, così come Elly Schlein, vicepresidente dell’Emilia-Romagna quando un anno fa decise di fare “eccezionalmente” («non parlo mai della mia vita privata, sono molto riservata») coming out in tv ospite da Daria Bignardi a L’assedio: «Ho amato molto uomini e ho amato molte donne. In questo momento sto con una ragazza e sono felice finché mi sopporta».

Presentando a Repubblica il suo libro Senza paura Zan ha tuonato: «Oggi tra Camera e Senato, ci sono 945 parlamentari. Quelli apertamente gay e lesbiche sono quattro: Ivan Scalfarotto, Tommaso Cerno, Barbara Masini e io. È statisticamente impossibile che siamo solo noi quattro e io so per certo che ci sono parlamentari gay in Forza Italia e in Fratelli d’Italia. In vacanza a Mykonos ho incontrato un deputato della Lega, del quale mi ricordo cartelli particolarmente aggressivi contro la legge Zan. Stava baciando un uomo»

La grande Gianna Nannini: «Ma te li fai i c**** tuoi?»

Il coming out come slogan, autodichiarazione, etichetta da appiccicare al prodotto giuridico o editoriale. Nessuno si aspetterebbe di ritrovare nelle pagine di Zan la disarmante e drammatica semplicità della Supplica a mia madre di Pier Paolo Pasolini («è difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio»), ma una risposta perfetta all’incitamento al coming out l’ha data Gianna Nannini a Vanity Fair: «Ami gli uomini? Ami le donne? Sempre le stesse domande, davanti alle quali uno vorrebbe dire soltanto: “Ma te li fai i cazzi tuoi?”. Eppure sarebbe semplice: a me le divisioni, a partire da quelle di genere, non mi hanno mai interessato granché», spiega. «Ho sempre amato uomini e donne e soprattutto non ho mai avuto freni nel sentire e seguire quello che volevo. Le ho sempre rifiutate, le definizioni. Al termine “coming out”, che ghettizza, ho sempre preferito la parola libertà. Alla parola gay, che ti pretenderebbe felice e ormai non usano più neanche in America quando indicono un pride, preferisco frocio. Chi è libero nel linguaggio è libero dentro».

Signorini e il papà che rompe il silenzio

Commentando il rifiuto di Gabriel Garko di fare coming out come richiesto dai giornalisti (poi l’ha fatto, eh, l’anno scorso nella casa del Grande Fratello Vip) Alfonso Signorini scriveva nel suo editoriale su Chi, «pensandoci bene la discriminazione c’è ancora, eccome se c’è: avete mai visto un eterosessuale conquistare copertine o interviste televisive perché ammette di essere etero? Forse, pensandoci bene, anche tutta questa rincorsa al coming out pubblico oggi non fa che sottolineare un provincialismo che non ci fa onore. I tempi sono cambiati. I ragazzi e le ragazze di oggi non si pongono il problema di rivendicare la loro identità sessuale: tutto viene vissuto con più naturalezza, alla luce del sole». Quanto al suo coming out, Signorini racconta di averlo fatto in casa a 39 anni davanti a una gallina bollita: «“Io amo una persona”. Mia mamma allora ha detto “Che bello, perché non ce l’hai portata?”, allora io ho detto “È un uomo!”. Ci sono stati 10 secondi di silenzio. Mio papà, che era un vecchio saggio milanese, ruppe il silenzio dicendo: “Io l’avevo sempre detto!”». Un brusio che i Spadafora e i Matano avrebbero “spento” accendendo le telecamere e pontificando urbi et orbi con un libro guarda caso appena stampato.

Exit mobile version