“Se offrirai il tuo pane all’affamato…”. La storia del Banco Alimentare

Le genesi, la rete e le storie della Fondazione che raccoglie e distribuisce 75 mila tonnellate di cibo a oltre un milione e mezzo di poveri

Appena prima della diciannovesima edizione della Colletta Alimentare, ormai considerata come il gesto di carità degli italiani, lo scrittore e giornalista Giorgio Paolucci ha pubblicato un libro per descrivere la genesi e gli sviluppi di una rete di migliaia di persone che operano in tutto il paese dal oltre venticinque anni.
Il titolo del volume, Se offrirai il tuo pane all’affamato… (ed. Guerini e Associati, pag. 127, euro 10) mostra tutta la gravità delle conseguenze anche di un singolo gesto di carità, a partire da quello di chi ha dato vita alla Fondazione Banco Alimentare, l’imprenditore Danilo Fossati, proprietario della Star, fino a quello dell’ultimo volontario. Tormentato dal bisogno di non fare mai abbastanza per i bisognosi, Fossati, scandalizzato dalle tonnellate di cibo che ogni anno vengono sprecate, grazie all’incontro con un membro di Comunione e Liberazione e a quello con don Luigi Giussani, diede vita alla fondazione che si preoccupa di recuperare gli alimenti destinati al macero. I dialoghi fra il sacerdote milanese e l’imprenditore, riportati nel libro, rivelano il dna di un’opera descritta così dall’attuale presidente della Fondazione, Andrea Giussani: «Il cibo è un’esigenza primaria», «condividerlo con altri ci induce a cogliere che c’è qualcosa di più grande e di profondo che ci unisce agli altri e a capire che tutti abbiamo bisogno di un significato per vivere».

NON SOLO FAME. Per i volontari del Banco, infatti, sia la giornata nazionale della colletta alimentare sia il rapporto con le famiglie e le persone a cui periodicamente, grazie a diverse associazioni, è portato da mangiare sono una possibilità di condivisione del senso della vita che si traduce in un supporto concreto capace di andare al di là della consegna degli alimenti. Lo testimoniano le tante storie raccontare da Paolucci, come quella di un pescatore ed ex carcerato calabrese, che confessa ai volontari: «Avete aiutato una persona disperata che si credeva finita a ritrovare la speranza». Perché, si legge, «chi cerca da mangiare non ha soltanto fame».
C’è infatti chi, poverissimo, è riuscito a laurearsi anche grazie ai volontari, la cui presenza ha incoraggiato a non arrendersi di fronte a difficoltà economiche disperanti e chi attraverso un pacco di pasta ha scoperto l’amore di Dio.
Vengono poi descritte le vicende dei volontari la cui carità ha contagiato intere città e quelle delle ventuno organizzazione locali che aiutano la fondazione. Legate al Banco Alimentare sono nati programmi come Siticibo, che raccoglie gli alimenti eccedenti della ristorazione, ormai attivo in 370 città italiane, mentre sono oltre un centinaio le aziende donatrici come Nestlé, che ricorda che lo spreco alimentare non è solo un costo sociale ma anche economico e dal forte impatto ambientale.

OLTRE IL PANE QUOTIDIANO. Il fatto che si sia passati da una raccolta di 200 tonnellate di cibo annue nel 1990 a una di oltre 75 mila del 2015, rappresenta quindi un guadagno per tutto il paese oltre che per gli immigrati, i carcerati e il numero crescente di italiani che ricevono sostegno dall’opera. Sono oltre un milione e mezzo i poveri che ne beneficiano.
Papa Francesco il 3 ottobre ha ricordato ai volontari del Banco Alimentare in udienza che occorre condividere «la necessità del pane quotidiano». Senza dimenticare, però, di guardare i poveri «in faccia, guardarli negli occhi, stringere loro la mano, scorgere in essi la carne di Cristo», educandoci a quella «carità che è un dono traboccante di passione».

@frigeriobenedet

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