Se in Italia un giudice può permettersi perfino di “dispensare” il detenuto dalla Messa domenicale

È accaduto davvero. Un gip ha rigettato l'istanza di un uomo che chiedeva di interrompere i domiciliari la domenica mattina: in caso di grave impedimento, basta la preghiera

Accade qualche giorno fa in un ufficio giudiziario italiano. Un anziano detenuto agli arresti domiciliari chiede l’autorizzazione a uscire da casa ogni domenica, dalle 11 alle 13, per la Messa. L’istanza non è irragionevole: è in custodia cautelare per reati societari; mentre va in chiesa non può certo inquinare le prove né tentare la fuga.

Ma il gip rigetta la richiesta: e fin qui nulla di nuovo rispetto a un rigore forse eccessivo, che però si manifesta spesso prima del giudizio. Il dato singolare è che lo stesso giudice spiega nella motivazione del suo provvedimento che sì, è vero che il diritto canonico obbliga i fedeli ad andare a Messa la domenica, ma il dovere viene meno quando vi è un grave impedimento: e tale è certamente la detenzione. In questo caso il tempo da dedicare alla Messa può essere sostituito dalla preghiera.

Grato come cattolico perché un giudice dichiara in un’ordinanza che lo stato di detenzione non è incompatibile con la possibilità di pregare (!), mi chiedo: ma per respingere una richiesta del genere è proprio necessario sconfinare dal codice di procedura penale al codice canonico? Non era sufficiente dire, se ce ne fossero state le condizioni, che il soggetto in questione è pericoloso e non è ammissibile nessuna deroga? Appartiene a un giudice penale il compito di insegnare il corretto adempimento ai precetti della fede, oltrepassando il già impegnativo compito di verificare l’adempimento dei precetti del diritto positivo?

Nessuno ha alzato il telefono per chiedere spiegazioni dello sconfinamento, ma proprio per questo vale la pena domandarsi se la libertà religiosa è realmente rispettata quando da un’aula di tribunale si ha la pretesa di stabilire se e quando si può andare a Messa la domenica.

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