Se dite che gli uomini e le donne sono “belli”, non rispettate la parità linguistica

La grammatica francese è una grammatica sessista. Lo dicono, attraverso un appello in rete, più di quattromila madrelingua d'oltralpe che si sentono sminuiti dall'uso, al plurale, dell'aggettivo di genere maschile quando si riferiscono a nomi maschili e femminili.

   

Attenti a quello che dite. Potreste apparire dei maschilisti. La grammatica francese è, infatti, una grammatica sessista. Lo dicono, attraverso un appello in rete, più di quattromila madrelingua d’oltralpe che si sentono sminuiti dall’uso, al plurale, dell’aggettivo di genere maschile quando si riferiscono a nomi maschili e femminili. Da qui, il titolo dell’iniziativa: “Que les hommes et les femmes soient belles”. Ovvero: che gli uomini e le donne siano belle.

Clara Domingues, docente di letteratura e presidente di un’associazione femminista, spiega con orgoglio le sue motivazioni: «Come si può sperare in un progresso della condizione della donna se non esiste neanche la parità linguistica?». E, nel manifesto, la linguista ricerca le origini storiche di questa “imposizione” di genere. Nel 1676 padre Bouhours, uno dei grammatici che più ha lavorato nella canonizzazione della grammatica attuale, dice: «Quando i due generi si incontrano, è necessario che il più nobile conquisti l’altro». Parlava, naturalmente, dell’aggettivo plurale femminile quando s’accosta due plurali di genere opposto.

Insomma, il plurale maschile è un lascito medioevale imposto da una casta omofoba. Questo, di fatto, è una negazione di una presunta libertà espressiva che era invece garantito dal latino classico. La lingua morta, nelle stesse accezioni, permetteva alternativamente l’uso del plurale maschile e del plurale femminile. Unico vincolo, la prossimità del sostantivo di riferimento. Insomma: “le donne e gli uomini sono belli” oppure “gli uomini e le donne sono belle”.

A 335 anni dalla riforma sessista della grammatica, l’appello incita alla rivoluzione. Basta libri di testo che trasmettono l’idea di un genere superiore a un altro. Si modifichino i correttori automatici allineandoli alla regola della prossimità del sostantivo. Per una lingua più giusta e paritaria i firmatari chiedono all’Académie française – la massima autorità in fatti di lingua fondata dal cardinale Richelieu – un cambiamento sostanziale dell’uso comune. Patrick Vannier, responsabile del dizionario dell’Accademia stessa, non fa passi indietro: «La superiorità del genere maschile esiste da tre secoli e non vedo perché vada rimessa in discussione ora».

Insomma, almeno per ora, non c’è niente da fare. Non è ancora tempo perché possa cambiare la condizione di subalternità del genere femminile. Intanto, però, esponenti della cultura e della politica – donne, chiaramente – danno di buon grado il proprio apporto alla causa, firmando l’appello e facendolo girare nella rete. Sperando che l’ultimo strascico di imperante maschilismo linguistico si ritiri, però, la grammatica rimane quella che è. Grazie a Dio. Ma, per parità di genere, sarebbe meglio dire: “per fortuna”.   

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