Scuole paritarie. Solo la libertà ci salverà dall’ideologia

Una passione differente dal clima culturale per cui nulla vale (così che vince il più forte). Ragioni per continuare la battaglia educativa

Articolo tratto dal numero di Tempi di ottobre

Qualche mese fa Tempi ha proposto alcune notevoli frasi di Antonio Gramsci; in una di queste, il fondatore del Pci si mostra sostenitore della scuola di iniziativa privata, che lui chiama libera: «Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente del controllo dello Stato. (…) Noi dobbiamo farci propugnatori della scuola libera e conquistarci la libertà di creare la nostra scuola. I cattolici faranno altrettanto dove sono in maggioranza; chi avrà più filo tesserà più tela». La trama di questo filo, la forza di questa intraprendenza, è la radice di quella comunità di persone al servizio della crescita dei giovani che costituisce ancora oggi il corpo e l’anima di una scuola libera. Questa libera iniziativa nella società è ampiamente riconosciuta come fattore indispensabile della crescita di una nazione.

E dunque vale ed è riconosciuta anche per chi offre tutto il suo impegno a costruire una scuola? Durante la sua visita a Monza il 20 settembre 2018, il presidente della Repubblica Sergio Matarella ha affermato che la «collaborazione, preziosa ed efficace, tra pubblico e privato esprime il meglio di un sistema che organizza le realtà del nostro paese. La Repubblica non si esaurisce negli organi istituzionali, nel suo apparato pubblico. È composta anche da formazioni sociali, da realtà che la società spontaneamente e liberamente esprime per occuparsi di interessi generali. La collaborazione tra il pubblico e il privato consente di valorizzare al massimo le potenzialità che la società esprime, curando, con i rispettivi carismi e le effettive capacità, i settori che richiedono collaborazione e integrazione. Questa è una forma di straordinaria efficacia che consente risultati eccellenti». Affermazioni importanti, che, tra le altre cose, elogiano la qualità dell’intraprendenza e della politica lombarda, in particolare nell’ambito della sanità. Nei fatti, sarebbe davvero interessante discutere se tutto questo davvero sia sempre praticato e riconosciuto, e se valga e venga riconosciuto anche per quella vitale istituzione che è la scuola italiana. Talvolta parrebbe di no, e anche il dibattito sulla scuola paritaria, che sul sito di Tempi ha visto la presenza di diversi autorevoli interventi, ha sottolineato con sfaccettature diverse che la difficoltà della scuola paritaria consiste anzitutto nel sentirsi apprezzata per il diritto che esprime, e dunque sostenuta, perché utile e imprescindibile all’interesse generale. Vediamo dapprima i motivi di questa difficoltà e in che cosa l’impedimento si può superare.

Impadronirsi delle cattedre

Da sempre la scuola subisce la pressione di interessi politici, di richieste sociali, di novità educative e di mode culturali. Negli anni più ideologizzati del secolo XX, la motivazione politica e culturale che portava all’emarginazione delle “scuole private” era appunto il loro carattere privatistico nel senso peggiore del termine. Si fingeva che si facessero in quelle scuole “gli interessi dei preti” di ottocentesca memoria, quando invece, purtroppo, molti entravano in esse come buoni cristiani e ne uscivano irriducibilmente atei. Impadronendosi delle cattedre nella scuola statale, l’ideologia dominante, che spesso non coincideva con quella del partito al governo, negava invece la propria invadenza delle coscienze e al tempo stesso abbandonava di fatto molti valori educativi, considerandoli “fascisti”.

Il mito della neutralità

Si sostiene da allora che è libera e di tutti solo quella scuola in cui siano presenti tutte le tendenze culturali e tutti i gruppi sociali. Si deve vivere e insegnare tutto in modo indifferenziato (dalla festa dell’albero a quel mattone di Manzoni), perché poi la coscienza di ciascuno, una volta ben formata, sceglierà per sé l’idea migliore. Le famiglie assistono indifferenti agli strappi causati da questa istruzione e pochi sono i docenti davvero fuori dal coro. Con un’inversione davvero impressionante rispetto anche solo a qualche decennio prima, dagli anni 70 la scuola “privata” è giudicata, così, monodirezionale, confessionale, di destra e dei ricchi. Vale a dire impostata malissimo. «È una singolare caratteristica del cattolicesimo italiano quella di portare avanti una millenaria tradizione di difesa degli ultimi mentre si allea nei fatti con gli interessi mondani dei primi», scrive Edoardo Albinati nel suo romanzo La scuola cattolica, premio Strega 2016, dove la logica conseguenza della cattiva educazione porta al delitto del Circeo (1975). Chi educa consegnando una convinzione da verificare sarebbe di per sé chiuso, discriminatorio e violento.

Purché funzioni?

Va detto ancora che il mito della neutralità della scuola, che un tempo nascondeva interessi ideologici, oggi si è radicato ancor di più. Nell’attuale società, al tempo stesso omologata e plurale, l’unica richiesta che facciamo ai nostri figli e al sistema educativo sembra essere quella di un perfetto funzionamento, in termini di acquisizioni di capacità spendibili. «Sia come sia la scuola, purché funzioni», dicono in molti, aggiungendo talora un po’ di regole moralistiche. Le caratteristiche di una scuola statale o paritaria come questa sono sempre meno legate a una proposta educativa e culturale. Si parla così, come obiettivi, di sviluppo di (otto) competenze per la crescita del paese, di essere il fattore principale di un’integrazione complessa, di testimoniare e consegnare ai giovani non tanto una storia per cui si vive ma una testa ben fatta, di offrire un’ampia presentazione di idee non distintive (un pensiero debole) e un linguaggio corretto in senso politico.
La scuola di oggi rappresenta questo tentativo, non so quanto discusso e approfondito dalle sue componenti, e temperato solo in parte dalla libertà di insegnamento dei docenti, alcuni dei quali molto validi. Se un insegnante arriva dalla scuola paritaria alla scuola statale, per esempio, continuerà per tutta la sua vita accademica a riprodurre quel segno distintivo che l’ha formato nei primi anni. Il pericolo che si corre nella scuola post-ideologica e funzionalista è sempre il medesimo: in un ambiente dove le verità sono punti di vista e i pensieri scontati, domina sempre l’idea più potente e aggressiva, rappresentata da quel che desiderano l’economia, la politica e l’ideologia di moda: risentimento verso l’essere, esasperazione dei diritti, giustizialismo, scientismo, conformismo alla società del benessere, uniformazione istupidente che sia.
Come afferma in Mimesis Erich Auerbach, criticando l’indifferentismo neutrale di Voltaire, caratteristica di tale prepotente incapacità a comprendere, amare e far parlare le differenze sono la falsificazione della realtà, il predominio di una visione dell’uomo incompleta e superficiale, l’abbassamento della persona umana ai suoi fattori materiali, la riduzione della ragione e l’eliminazione della responsabilità dell’uomo singolo per le sue azioni. Vale a dire il contrario di quasi tutti gli obiettivi formativi che genitori e scuola desidererebbero per i giovani, soprattutto negli anni della strutturazione dell’intelligenza e di sviluppo di un’idea del mondo, tra i 13 e i 19 anni. In tal senso, un amico sacerdote e grande educatore mi consigliava di mandare i figli dove volevo quando erano piccoli, e nella scuola paritaria negli anni delle scuole superiori, curando con attenzione la scelta. Per che cosa, dunque, vale la pena frequentare una scuola paritaria?

Dove la gente aveva perduto la fede

Il pedagogista americano Charles Glenn sostiene che la scuola paritaria è costituita da un clima, una cultura, un ethos e un carattere ben contrassegnati; e che, proprio in virtù di questa sua consistenza culturale specifica, essa è utile allo sviluppo di mille elementi determinanti la coscienza critica. In tale sua passione differente sta proprio il suo valido servizio all’interesse generale. La scuola paritaria è infatti una scuola che esprime una proposta culturale e didattica originale, nata dall’interesse all’educazione di molte persone (e di un popolo) e dal coinvolgimento dei docenti. L’aspetto fondamentale di tale proposta è quello di essere culturale, in quanto sviluppa la ragione attraverso il suo coinvolgimento continuamente convocato nelle attività e nelle discipline.

Non si prende, dunque, un aspetto “religioso” e lo si deduce, ma si introduce, si sviluppa e si verifica una vera e ampia ricerca in ogni attività e materia: nella religione, nelle scienze, nella storia, nella fisica e nel gioco. Anche per chi vi insegna, una delle caratteristiche più rilevanti della scuola paritaria dovrebbe essere la qualità del lavoro di ogni giornata negli anni, in una comunità alla quale si contribuisce, come sanno i docenti che l’hanno preferita. E come ben esprime T.S. Eliot, che, in un punto dei dialoghi in prosa che accompagnano i Cori della Rocca, rappresenta queste parole di Charles James Blomfield, vescovo anglicano di Londra dal 1828 al 1857, impegnato ad accompagnare il suo popolo in quella periferia che stava ingrandendosi enormemente: «Nei luoghi dove la gente aveva perduto la Fede al punto di essere incapace d’insegnare ai propri figli, fui attento a fornire scuole oltre che chiese; e se non eravamo in grado di fornirle entrambe, allora la scuola veniva prima e la chiesa dopo».

*L’autore di questo articolo è rettore del Collegio Guastalla (Monza)

Foto Ansa

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