Sadomonetarismo o monetadone?

Il dilemma è sempre lo stesso: alzare i tassi di interesse, con il rischio di far crollare l'economia, oppure superiniezioni di liquidità? L'Europa, poi, ha un problema tutto suo: una sola moneta, tante economie

Il giorno dopo l’annuncio del presidente Bce Mario Draghi che l’Eurotower darà alle banche 1.000 miliardi di euro, finanziati a bassi tassi di interesse, per sostenere il credito a famiglie e imprese, si riaccende il dibattito sul ruolo che le banche centrali possono (e devono) giocare nell’uscita dalla crisi.

«SADOMONETARISTI» O «MONETADONE»? Il grande interrogativo, che ciclicamente torna ad occupare la scena, è sempre lo stesso. Come ha scritto Morya Longo sul Sole 24 Ore, si tratta di decidere se «alzare i tassi di interesse e rendere la politica monetaria meno espansiva», rischiando di fare, secondo la celebre definizione dell’economista Paul Krugman, «sadomonetarismo: cioè di far collassare l’economia del loro Paese che cresce, ma non in modo ancora abbastanza solido». Oppure, usando un’espressione cara ad Antonio Foglia (Banca del Ceresio), somministrare «monetadone» alle economie, cioè le «superiniezioni di liquidità»; con il rischio, però, di «creare bolle speculative sempre più grandi. E sempre meno gestibili».
«Difficile trovare la ricetta giusta», secondo Longo. Anche perché le banche centrali, ormai, «sono diventate come i proverbiali elefanti nella cristalleria: comunque si muovano, rischiano di spaccare qualcosa».

IL CASO DELLA SVEZIA. Emblematica, da questo punto di vista, la vicenda della Svezia, uno dei primi paesi ad «uscire dalla crisi finanziaria del 2007, tanto che il Washington Post nel 2010 definì Stoccolma la “rock star della ripresa”». Il problema, però, è che «la crescita economica era accompagnata da un eccessivo debito privato» e, «per sgonfiare questa “bolla”, nel 2010 la banca centrale ha deciso di alzare i tassi di interesse, nonostante la disoccupazione fosse ancora elevata e l’inflazione troppo bassa. Morale: quattro anni dopo, il Paese si trova quasi in deflazione, ma il debito delle famiglie resta gigantesco (al 170% del reddito disponibile)». Al punto che la Banca centrale ha nuovamente fatto marcia indietro, tagliando di mezzo punto percentuale i tassi.

STATI UNITI E UNIONE EUROPEA. Negli Stati Uniti, invece, che si trovano più o meno nelle stesse condizioni della Svezia del 2010, la Federal Reserve di Janet Yellen ha fatto capire che «non alzerà i tassi prima del giugno 2015. Noncurante delle bolle speculative che ormai si gonfiano ovunque ed etichettando come “rumore di fondo” l’inflazione Usa (salita al 2 per cento e in veloce ascesa) – spiega Longo – Yellen non sente bisogno di velocizzare i tempi».
L’Unione Europea, dal canto suo, «si trova a gestire un ciclo economico ben più depresso». E «più la Fed allontana il rialzo dei tassi, più il dollaro resta debole nei confronti dell’euro». Ma «l’euro troppo forte, da un lato importa deflazione, dall’altro zavorra le esportazioni e dunque la ripresa economica. Questo complica il lavoro della Bce, che, fa notare Longo, «storicamente ha fatto del “sadomonetarismo” uno stile di vita». Draghi, che si muove in un’«area monetaria fatta di economie troppo diverse tra di loro», prosegue Longo, sta avviando una «serie di politiche per far ripartire il credito bancario alle imprese, ma fin che l’euro resta così forte, nonostante la debolezza dell’economia, ripresa e inflazione saranno difficili da agganciare».

LA STRADA PER LA NORMALITÀ. Che fare, dunque? La realtà, nota dunque Longo, è che «la battaglia delle banche centrali, tutte impegnate a far ripartire il loro Paese pur in fasi diverse dei cicli economici, ha creato movimenti di capitali e valutari così ingenti, che le decisioni dell’una finiscono per intralciare quelle delle altre». Forse, «ha ragione il governatore della Banca centrale indiana Raghuram Rajan, quando auspica una maggiore collaborazione internazionale per elaborare una “exit strategy” condivisa». Per «riportare, prima o poi, il mondo alla normalità. A una crescita sana, non drogata dalla liquidità né dalle bolle speculative. Senza eccessive diseguaglianze sociali. Senza speculatori finanziari ricchi e popoli ridotti alla povertà. Possibilmente, più prima che poi».

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