Ribadiamo: Cancellieri ha fatto bene a interessarsi delle sorti di Giulia Ligresti

I giustizialisti ne chiedono le dimissioni, ma per tempi.it il ministro ha agito in maniera esemplare. Tre interventi importanti: Pagano (Dap), Caselli e Manconi

Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri spiegherà domani in Senato le sue telefonate per chiedere che al Dap di interessarsi delle sorti di Giulia Ligresti. Il Guardasigilli ha già avuto modo sabato, durante un convegno dei Radicali, di ribadire la correttezza del suo operato, che ha anzi rivendicato spiegando la particolare situazione della detenuta (anoressica) e a rischio vi vita. Giulia Ligresti, infatti, era detenuta in carcerazione preventiva, aveva già chiesto il patteggiamento, il pm e i medici avevano dato l’ok per il suo trasferimento ai domiciliari, ma il gip si era opposto. A parere di Tempi, il ministro non solo aveva fatto bene a interessarsi della vicenda, ma aveva fatto benissimo. Tuttavia i giornali (Il Fatto e Repubblica in particolare) e alcuni esponenti politici (Pippo Civati del Pd) ne hanno chiesto le dimissioni. E il M5S ha presentato una mozione di sfiducia che ha il chiaro intento, al di là del merito della vicenda, di mettere in imbarazzo il governo.

DAP: NESSUNA INTERFERENZA. Intanto, la vicenda si arricchisce di nuovi particolari importanti. Innanzitutto Luigi Pagano, vice capo vicario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), a cui è giunta la “segnalazione” del ministro, ha spiegato che è normale quanto accaduto. «Non credo – ha detto – che raccogliere informazioni sulle condizioni di un detenuto con problemi di salute o a potenziale rischio di autolesionismo sia una colpa. Anzi, è un nostro dovere, a qualsiasi livello e lo facciamo quotidianamente. Ogni segnalazione che dovesse arrivare al nostro ufficio viene raccolta, smistata e approfondita, a volte direttamente, altre attraverso le strutture territoriali o i singoli istituti. Nel caso specifico ho personalmente chiamato il provveditore regionale che mi ha confermato che la situazione era già conosciuta e sotto controllo». Pagano ha anche spiegato che «il ministro Cancellieri su questo fronte è molto attivo, si muove a 360 gradi, stimola a trovare soluzioni, firma protocolli con le regioni…».

CASELLI: AGITO IN BASE ALLA LEGGE. Anche il procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, ha spiegato che i domiciliari «sono stati concessi esclusivamente sulla base di due fatti concreti, obiettivi, provati: le condizioni di salute assolutamente incompatibili con il carcere (come una perizia di un qualificato professionista ha certificato) e la richiesta di patteggiamento intervenuta ben prima che ci fossero le telefonate dii cui le cronache di queste giorni sono piene». A SkyTg24 Caselli ha anche spiegato che «sarebbe infondata qualunque ipotesi di circostanze esterne che in qualche modo abbiano influito sulle decisioni dell’autorità giudiziaria. Abbiamo agito, come sempre, in base alla legge e gli atti processuali sono lì a dimostrarlo».

MANCONI: CULTURA DEL SOSPETTO. Ma le polemiche, soprattutto provenienti da sinistra non si placano. Il fatto paradossale è che, anziché, come ha ben evidenziato Stefano Menichini su Europa, anziché concentrarsi su quel gip che ha rifiutato i domiciliari a una detenuta che ne aveva tutti i diritti, vadano a colpire il bersaglio Cancellieri. Ha ragione Luigi Manconi, uomo di sinistra, da sempre impegnato sul tema carceri e amnistia, che sull’Huffington post, ha scritto un commento totalmente condivisibile. Lo riportiamo di seguito.
«A leggere i quotidiani e i commenti di tanti parlamentari – ha scritto Manconi -, viene da pensare che la politica “di sinistra” sia quella tesa a protrarre la carcerazione in custodia cautelare di una donna diagnosticata come anoressica e che non intende nutrirsi. E io che ritenevo, al contrario, che una politica equa (e, se vogliamo, “di sinistra”) fosse semmai quella capace di far uscire dal carcere Giulia Ligresti e le altre tante persone che vi si trovano, nonostante la dichiarata incompatibilità tra carcere e condizioni di salute.
Di conseguenza, provo a rovesciare lo schema di ragionamento che il Conformismo Nazionale sta diffondendo a piene mani in queste ore. Di fronte a una detenuta che rifiuta di nutrirsi è buona prassi e indice di una elevata sensibilità istituzionale (e umana, il che non guasta) attivarsi per capirne le ragioni e verificare che non stia maturando una incompatibilità con lo stato di detenzione. Questo ha fatto, opportunamente, il Ministro Cancellieri quando le è stata segnalata la gravità delle condizioni di salute di Giulia Ligresti. E questo hanno fatto, opportunamente, i funzionari dell’Amministrazione penitenziaria e i sanitari che hanno valutato il caso.
E alla fine la decisione di scarcerare Giulia Ligresti non è stata certo presa dal Ministro o dai suoi uffici, ma – come è giusto che sia, in nome della separazione dei poteri e della indipendenza della magistratura – da un giudice che ha ritenuto di poter attenuare le misure cautelari a suo carico. Analogo comportamento è stato adottato in passato a favore di detenuti privi di nomi e cognomi importanti, che si trovavano in condizioni simili: e mi auguro che così sempre venga fatto. Purtroppo, però, queste elementari considerazioni, derivanti da un minimo di fiducia nello Stato di diritto, sono contestate sulla base di una cultura del sospetto assai diffusa, soprattutto a sinistra; oltre che, evidentemente, su una falsificazione totale dei dati di realtà.
Si legge e si sente dire ossessivamente che il Ministro avrebbe “fatto pressioni sul magistrato che doveva decidere della scarcerazione”. Ma che sciocchezza. Nessuna pressione sul magistrato, come ha affermato autorevolmente il Procuratore della Repubblica Giancarlo Caselli. Dunque, solo una cultura del sospetto può dare per certo che il comportamento giustamente e istituzionalmente premuroso del Ministro Cancellieri sia riservato alla sola Giulia Ligresti ed esclusivamente perché amica di famiglia: cosa ne sanno, quei tetri sospettosi, di quanti e quali casi passino per la sua scrivania e di come vengano trattati? Chi lo ha detto che per Giulia Ligresti sì e per altri no? Forse l’astio che emerge in questa circostanza si deve anche al fatto che il Ministro Cancellieri si è schierato incondizionatamente a favore di un provvedimento di clemenza di cui potrebbero beneficiare decine di migliaia di detenuti senza nome e senza famiglia, e spesso senza avvocato.
Un provvedimento che quasi certamente non ci sarà perché si scambia per verità incontrovertibile il sospetto – eccolo, ancora una volta – che esso possa essere fatto a beneficio di un solo privilegiato (che comunque in carcere non andrà mai). Piuttosto che avvantaggiare quest’ultimo, meglio nessun diritto per nessuno e la sistematica violazione dei diritti umani che si manifesta ogni santo giorno nelle nostre carceri sovraffollate.
Emerge così un’utopia regressiva nascosta in quella sorta di rancorosa lotta di classe giustizialista che, incapace di garantire i diritti dovuti a tutti i cittadini, si contenta di sottrarli a chi riesce in qualche modo a beneficiarne (certo: anche grazie alla diseguale forza delle proprie relazioni sociali). Se non possiamo essere uguali nei diritti è meglio esserlo nei non diritti? Tutti sulla forca pur di essere tutti allo stesso livello? E’ all’opera un meccanismo demagogico feroce: in nome di un presunto egualitarismo si propugna un livellamento delle garanzie verso il basso.
Si ritiene, cioè, che l’assunto della legge “uguale per tutti” possa essere trasformato in una sorta di scadimento di tutti i diritti e di tutte le tutele verso la più deficitaria delle applicazioni, mentre dovrebbe essere l’esatto contrario. E in questo meschino surrogato di lotta di classe si ricorre al carcere in luogo dei buoni e vecchi metodi del conflitto sociale. Ma quelli sì che avevano una loro nobiltà. Invece qui siamo alla torva invocazione del carcere come strumento di giustizia sociale».

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