Riapre la cattedrale di Carpi e la comunità «ritrova la sua casa»

«Forse un merito del terremoto è l'averci aiutato a capire quanto siano importanti questi luoghi di preghiera, di incontro e bellezza» dice il vescovo Cavina

A Carpi non si era mai vista una folla così numerosa intorno alla cattedrale come quella del 25 marzo scorso. Code lunghissime di gente che aspettava di entrare già alle 6 del mattino, quando la messa era fissata alle 10:30. Ma quello era un giorno davvero speciale per la città: la cattedrale di Santa Maria assunta, situata nel centro storico e gravemente danneggiata dal terremoto del 2012, è stata completamente restaurata e restituita alla comunità. Alla cerimonia di apertura era presente anche il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, mentre il prossimo 2 aprile papa Francesco visiterà la diocesi. «Finalmente abbiamo di nuovo un luogo in cui riunirci e pregare. È come tornare a casa, perché questo è il luogo dove per noi tutto acquista valore e significato. Descrivere a parole quello che è successo nei giorni di sabato e domenica a Carpi è davvero difficile, bisognava essere presenti per capirlo. È stato commovente» dice a tempi.it il vescovo Francesco Cavina.

SACRO E MISTERO. La mancanza di un punto di riferimento e di ritrovo per i fedeli ha creato non pochi disagi: subito dopo il terremoto e fino a sabato scorso, per ragioni di sicurezza la messa domenicale veniva celebrata all’aperto nel parco davanti all’ospedale civile, poi la comunità parrocchiale si è trasferita nel campo sportivo dell’oratorio cittadino, e quando è cominciata la cattiva stagione, i fedeli si riunivano in un teatro rapidamente restaurato. Nei giorni feriali era possibile celebrare la messa nella chiesa più antica della città, “la Sagra”, miracolosamente risparmiata dal sisma, ma gli spazi erano troppo piccoli per ospitale la grande quantità di gente che si riversava all’interno. «Ben presto però ci siamo accorti che questi luoghi non erano adatti alle nostre liturgie: i ragazzi e i bambini si ritrovavo a pregare nello stesso teatro dove durante la settimana andavano a guardare uno spettacolo. Si rischiava di perdere il senso del sacro e del mistero».

OTTO PER MILLE.La vita che gravitava intorno alla cattedrale però non riguardava solo le cerimonie religiose: «La struttura comprende anche una scuola cattolica che va dal nido alle medie. C’era quindi anche l’esigenza di riprendere il prima possibile le attività didattiche, insieme a tutte le altre attività pastorali legate al nostro oratorio, dallo scouting alla catechesi». Per riuscirci, la comunità non si è risparmiata: «Abbiamo fatto dei sacrifici enormi per rimetterla in sesto». Lo Stato infatti ha finanziato la riparazione dei danni provocati dal terremoto, soprattutto per la scuola dell’oratorio parrocchiale, ma monsignor Cavina è convinto che «non si può attaccare un panno nuovo a un vestito vecchio». Così, per rendere del tutto sicura questa struttura così importante e significativa per Carpi, è intervenuta anche la comunità: «Grazie alla Cei, con l’Otto per Mille abbiamo ricevuto diversi finanziamenti da parte di privati e di enti pubblici, con cui è stato possibile ricostruire tutta l’originaria bellezza di questo luogo, dotandolo anche di nuove messe in sicurezza». Chi entri in questa chiesa, risalente agli inizi del 1500 e inserita in una delle piazze più belle e più grandi d’Italia, può dunque nuovamente ammirare le sue tante opere d’arte, come il prezioso e antico organo di Giovanni Cipri, il coro in noce o gli affreschi neorinascimentali che ricoprono l’abside, i transetti e la grande cupola.

IL SUONO DELLE CAMPANE. Molti altri luoghi del centro Italia, racconta monsignor Cavina, sono stati ricostruiti in questi anni, «tanto che non sembra quasi esserci mai stato un terremoto». E i cittadini, ritrovando i propri edifici, le proprie case, stanno recuperando fiducia e speranza. Ma il caso della cattedrale di Carpi rivela qualcosa in più, dice il vescovo: il sentimento con cui la gente ha partecipato alla ricostruzione e alla cerimonia di riapertura della chiesa «dimostra che in una società così secolarizzata come la nostra, le persone hanno ancora bisogno di affidarsi a Dio e riscoprire la forza delle fede». Due episodi in particolare hanno colpito monsignor Cavina: «Qualche giorno fa ho incontrato in piazza un uomo che prima del terremoto si lamentava sempre del suono delle campane della chiesa. Quella volta invece mi ha detto con gioia: “Ora, quando sento le campane suonare, mi sembra che una melodia meravigliosa che mi abbracci”». Un’altra volta invece, «una domenica sera, entrando in chiesa, ho visto un gruppo di giovani, ventenni, seduti tra i banchi. Mi sono avvicinato per avvisarli che non era l’ora della messa, ma loro mi hanno risposto che volevano rimanere ad osservare la chiesa e godersi quel senso di pace e di calma contemplativa che la cattedrale trasmette». In quesi momenti, dice Cavina, «ho avuto davvero la sensazione che la cattedrale è il punto in cui il cielo e la terra si incontrano, il luogo in cui la mente umana riesce a percepire il divino. Forse il terremoto ha avuto questo merito, in mezzo a tutte le disgrazie e il dolore che ha provocato: ci ha aiutato a capire quanto siano importanti questi luoghi di preghiera, di incontro e anche di bellezza per riuscire a conservare una dignità umana anche quando tutto sembra perduto».

@fra_prd

Foto Ansa

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