Quanto fa sul serio Maduro sulla folle annessione dell’Esequibo?

Il dittatore venezuelano minaccia di replicare con la regione della Guyana quello che fece l’Argentina con le Falkland. Ma c’è Biden al posto della Thatcher

Il dittatore Nicolás Maduro con una bandiera del Venezuela alla conclusione della campagna per il referendum sull’annessione dell’Esequibo, Caracas, 3 dicembre 2023 (foto Ansa)

Domenica scorsa 3 dicembre, mentre il governo del Venezuela proclamava soddisfazione per l’asserita forte affluenza alle urne, l’opposizione continuava a pubblicare foto di seggi vuoti e a denunciare un’elevata astensione. Importa poco o nulla. Trattandosi di una dittatura, l’esito del referendum consultivo indetto dall’autocrate Nicolás Maduro per annettersi l’Esequibo, un territorio che appartiene alla Guyana, era scontato, così come era prevedibile la crisi innescata da un presidente intenzionato a litigare con il vicino. La domanda che si fanno tutti è: fino a che punto si spingerà Maduro?

Vecchio trucco da tiranni in panne

Il referendum è stato un invito ai venezuelani a stringersi attorno alla bandiera, «il trucco più vecchio del manuale del tiranno su cosa fare quando le cose vanno male», ha scritto il Wall Street Journal. L’economia è crollata da quando Maduro è entrato in carica nel 2013, e oltre 8 milioni di venezuelani, ovvero più di un quarto della popolazione, sono emigrati. Inoltre sta aumentando da Washington la pressione sulla dittatura di Caracas affinché venga revocato per la leader dell’opposizione María Corina Machado il divieto di candidarsi alle presidenziali del 2024. Tutti i sondaggi indipendenti la danno vincitrice con almeno l’80 per cento dei consensi contro Maduro, che ha intenzione di ripresentarsi.

La scorsa settimana un numero imprecisato di militari venezuelani si è avvicinato al confine con la Guyana mentre il Brasile ha messo le sue truppe in stato di massima allerta nella regione nord confinante con entrambi i paesi. Contemporaneamente i vertici delle forze speciali dell’esercito americano hanno incontrato le controparti della Guyana, ma sia il comando meridionale degli Stati Uniti che il dipartimento di Stato Usa non hanno fatto sapere nulla sull’esito dei colloqui.

Sfida aperta a Washington

Di certo quella innescata dal Venezuela è una crisi dagli esiti imprevedibili, carica di minacce militari e molta confusione. L’iniziativa di chiaro stampo nazionalista portata avanti da Maduro ricorda l’operazione che si concluse con l’invasione delle isole Falkland/Malvinas nel 1982 da parte della dittatura argentina. Il generale/presidente alcolizzato Leopoldo Galtieri all’epoca volle mettere alla prova Margaret Thatcher, proprio come oggi Maduro sta facendo con Joe Biden. Allora la “Lady di ferro” reagì, segnando di fatto la fine del regime criminale di Buenos Aires. Vedremo che cosa deciderà di fare Washington nel caso in cui la «sesta fase per la riconquista della Guayana Esequiba» annunciata da Maduro dopo il referendum si concretizzerà in una effettiva annessione.

Se nessuno gli metterà un freno, il dittatore di Caracas avrà gioco facile: la Guyana dispone infatti di appena sei mezzi blindati leggeri e 3.400 uomini da mobilitare per difendersi, quasi tutti poliziotti, mentre il Venezuela può contare su 123 mila soldati bene armati pronti in 24 ore e sulle forniture belliche di Russia (caccia e missili), Cina (carri armati) e Iran (droni).

La stessa narrativa di Putin

Nel febbraio scorso Hector Schamis, analista e professore alla Georgetown University, aveva scritto su Infobae: «Putin davanti a un tribunale internazionale per il reato specifico di aggressione è un messaggio diretto alle ambizioni espansionistiche di Nicolás Maduro. Il Venezuela reclama dei diritti sull’Esequibo, un territorio della Guyana che equivale a due terzi del paese». Poi continuava, con acume: «In Venezuela, come in Russia, governa un despota in difficoltà, sanzionato e senza legittimità. Non sarebbe la prima volta che un tiranno ripudiato dal suo popolo si imbarca in un’avventura militare pseudo-nazionalista, cioè attraverso un crimine di aggressione».

È sotto questa lente che va letto il referendum di Maduro, che fa appello alla stessa narrativa di Putin, e che fa esplodere una controversia che è già nelle mani della Corte internazionale di giustizia dell’Aja. A prescindere da ogni presunta giustificazione storica, una minaccia di invasione per una disputa di confine del XIX secolo è di fatto sconsiderata. Se dovesse finire per prevalere il principio postulato da Maduro (e dal suo alleato Putin, che in territorio venezuelano ha due basi militari), il Messico potrebbe rivendicare la California e il Texas, la Colombia Panama e il relativo canale, il Cile la Patagonia argentina. E questo per limitarci solo alle Americhe. In Africa ci sarebbe da ridisegnare la carta geografica.

La crisi sta già precipitando

«Maduro è un leader dispotico e i leader dispotici sono difficili da prevedere», ha ammonito nei giorni scorsi il ministro degli Esteri della Guyana Hugh Todd, intervistato dal Guardian. Purtroppo Todd ha ragione. Il caudillo chavista potrebbe volere imitare Galtieri, tanto più che oggi a fronteggiare Maduro non c’è un equivalente della Thatcher, e la deterrenza, soprattutto da parte degli Stati Uniti, manca. Come per le Falkland/Malvinas, inoltre, tutti gli abitanti della Guyana – Stato che ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1966 – sono anglofoni; e non è certo un dettaglio secondario il fatto che nell’Esequibo ci sia un mare di petrolio e altre preziose materie prime.

In ogni caso Maduro sembra essere perfettamente in grado di far precipitare la crisi a tempo di record. Martedì ha nominato il maggiore generale Alexis Rodríguez Cabello, cugino di Diosdado Cabello accusato di narcotraffico dagli Stati Uniti, come “autorità unica” – in via provvisoria – della Guayana Esequiba e lo ha messo a capo di una nuova divisione militare. Il dittatore ha inoltre ordinato alla direzione della Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato venezuelana, di iniziare a concedere immediatamente le licenze per lo sfruttamento delle risorse della regione. Poi ha consegnato al presidente del Parlamento, lo psichiatra Jorge Rodríguez, il suo disegno di legge per creare il nuovo Stato (equivalente di una nostra Regione) della Guayana Esequiba. Infine ha ordinato che la nuova mappa del Venezuela con l’annessione dell’Esequibo sia diffusa nelle scuole, nei licei e nelle università del paese.

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