I progressi imprevedibili di Jesús, il bambino che “amava” solo farsi del male

Pubblichiamo la rubrica di padre Aldo Trento contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Hanno chiuso una casa per bambini malati di Aids e ci hanno chiesto di accoglierne alcuni. Uno di questi ragazzi, Jesús, ha un problema psichiatrico: “ama” autolesionarsi. Se non gli facciamo indossare dei guanti è capace di staccarsi un’unghia con i denti, mordersi le labbra o la lingua. Ma la cosa che mi ha scioccato di più è che per evitare che si facesse del male, i “nuovi Mengele” di questa epoca gli hanno tolto tutti i denti dell’arcata superiore.

Alla riunione settimanale con i responsabili dei pazienti, una dottoressa ha proposto di estrarre a questa “piccola ostia bianca” anche i denti dell’arcata inferiore, per risolvere il problema alla radice. Suor Sonia, responsabile della clinica, ha reagito “come una vipera quando le viene pestata la coda”, perché era un’ipotesi irragionevole, non teneva conto di tutti i fattori, in particolare il fattore affettivo del bambino, che fin dalla nascita ha conosciuto solo sofferenza, avendo perso i genitori e avendo vissuto in una “casa” dove lo tenevano legato 24 ore al giorno. La dottoressa si è alzata e se ne è andata. Una grazia, perché senza suor Sonia si sarebbe giunti a una soluzione irrazionale.

Da quel momento si è imposta una sfida a tutti noi che siamo chiamati a condividere con Jesús le ore del giorno stando al suo fianco, accarezzandolo, liberandogli le mani, curando ogni movimento, parlandogli con affetto, guardando quel volto, il volto di colui che porta il nome “Gesù”. Da quindici giorni lo “schizofrenico” – la diagnosi dei medici che gli avevano tolto i denti – ha iniziato un percorso di riabilitazione sorprendente per tutti. Grazie all’amore, ha riacquistato la libertà, ciò che fa di un essere umano una persona.

Il racconto della logopedista Francisca, che insieme a un’altra ragazza, Jésica, segue Jesús, guardando in lui la presenza del Mistero:

«Ho sentito parlare di Jesús per la prima volta alla riunione interdisciplinare. Dicevano che era già tutto pronto per l’estrazione dei suoi denti inferiori. Ho pensato che avesse un’infezione alla bocca, ma sbagliavo: il motivo della decisione erano i suoi episodi di autolesionismo. Mi hanno poi descritto Jesús come un bambino aggressivo, molto selettivo riguardo al cibo, che piangeva molto e che a volte doveva essere legato perché non si facesse male. In breve, un bambino che richiedeva più di quanto potessimo dargli».

«A fine riunione sono andata a conoscerlo. Aveva un cerotto sul volto che si bagnava con la saliva, che gli scorreva fino al collo. Le sue mani erano avvolte in manopole e le braccia tenute dritte da due tutori. Piangeva. Io l’ho salutato chiamandolo per nome e guadagnandomi un suo sguardo. Siamo andati a fare una passeggiata con la sedia a rotelle: gli parlavo, gli facevo domande anche se non rispondeva, lo guardavo negli occhi».

«Il secondo giorno ha cominciato a muovere le spalle per dire “sì”, la testa per dire “no”. È stato un grande passo. Stiamo creando una routine di gentilezza e amore, nella quale lo saluto con un bacio, e per prepararlo a uscire gli dico quanto è bello e com’è il tempo fuori. Lui guarda attentamente e comprende tutto ciò che accade. Il terzo giorno ha iniziato a rispondere ai baci, anche con il labbro ferito. Ha iniziato a sorridere. Continuavano i tentativi di autolesionismo, ma osservandolo bene appariva ovvio il motivo: la ferita ancora umida prudeva. Abbiamo cominciato a detergerla più spesso, e quei movimenti sono diminuiti. Il quarto giorno ha iniziato a usare le mani per lanciare la palla e riafferrarla, dare carezze, applaudire. Lo fa con movimenti morbidi, sebbene i suoi muscoli siano sempre tesi a causa di una disfunzione».

«Sono passati giorni e ora Jesús ride a crepapelle quando facciamo cose buffe, dice “gol!” quando riesce a lanciare la palla a dovere, capisce tutto ciò che gli viene detto. Riesce a esprimere quando una cosa gli piace o meno. Inoltre mangia tutto, anche se non gli piace, e anche se buona parte di ciò che mette in bocca esce dalla ferita (un grande gesto d’amore). Piange ancora? Sì. Si tocca la ferita? Sì. Cammina perfettamente? No. Quindi cosa è cambiato? È cambiato il suo modo di vivere il mondo. Ora non è più qualcuno su cui eseguire procedure in silenzio, ma un giovane che si riconosce importante, amato. Sa che esiste qualcuno a cui piace prendere la sua mano e cantare con lui».

Il cambiamento è avvenuto senza l’utilizzo di terapie, di una sfilza di protocolli e obiettivi, senza forzare nulla, solamente portando a termine azioni radicali: amore, presenza, gentilezza, compagnia. Sono questi i gesti che guariscono il cuore, che danno senso all’affezione. Proseguiremo in questo cammino dell’amore.

paldo.trento@gmail.com

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