I professionisti dell’antimafia chiedano scusa a Mori

Bisogna arrivare a pagina 22 del Fatto per trovare l'articolo sull'assoluzione del generale. L'intervista a Repubblica e il commento del Foglio

Bisogna arrivare a pagina 22 del Fatto per trovare l’articolo che racconta l’ennesima assoluzione per il generale Mario Mori. Il quotidiano diretto da Marco Travaglio la mette giù così: «Mori, dunque, fa il tris di assoluzioni. Ancora una volta, il Grande Vecchio degli apparati italiani, che fu capo del Sisde dal 2001 al 2006, esce vittorioso da un procedimento giudiziario che ha gettato ombre pesantissime sul suo operato di investigatore antimafia, ipotizzando una deviazione dei compiti istituzionali in favore di Cosa nostra».
Non c’è niente da fare: “Grande Vecchio”, “ombre pesantissime”, Il Fatto non si smentisce mai. E più avanti si parla di «occasione mancata», «motivi occulti», rilanciando l’idea che Mori non sia un perseguitato dalla giustizia ma un «enigmatico ufficiale dell’Arma che nasconde nel suo passato i segreti della strategia della tensione». Almeno, su una cosa si può concordare col Fatto: è certo che questa ennesima assoluzione renda il «processo Trattativa più difficile». Un sollievo per noi, una disdetta per loro.

MORI: SICURO DI VINCERE. Intervistato da Repubblica il generale si toglie il famoso sassolino dalle scarpe: «Questa nuova assoluzione dimostra la mia totale innocenza (…). Ho vinto, ero sicuro di vincere, ma non voglio stravincere. Mi interessa piuttosto che questa sentenza apra un grande dibattito nel paese, su una stagione giudiziaria nata in un periodo di emergenza. Hanno pesato la fretta, la voglia di fare. L’approccio è stato sbagliato e tanto tempo abbiamo perso nella lotta alla mafia».
Mori ribadisce, nel suo solito stile pacato e fermo, le sue convinzioni, il rispetto per le istituzioni e la giustizia, ma dice anche che «qualcuno che mi ha accusato dovrebbe fare un po’ mente locale su quello che è stato il suo comportamento di uomo e di professionista». E ora spera che la lotta a Cosa nostra e l’antimafia possano «ripartire. Dalle persone serie. Perché ci sono troppi millantatori in giro, troppe persone che ne fanno una professione».

SINDROME DELL’APPESTATO. Il commento più interessante sulla vicenda l’ha scritto Giuseppe Sottile sul Foglio: «Sono quasi vent’anni che persone al di sopra di ogni sospetto come Mannino o come Mori o come Obinu sono costretti a salire e scendere le scale dei tribunali, a difendersi da accuse infamanti, a pagare fiori di avvocati, a patire la gogna sui giornali, a soffrire per l’imbarazzo dei figli o delle mogli, a subire la mortificazione della gente che li incontra e fa finta di non vederli. Si chiama “sindrome dell’appestato”. Chi li risarcirà per tutto il male che gli è piovuto addosso?». Forse è giunta l’ora, nota giustamente il giornalista, che, da Sergio Mattarella a Giovanni Legnini a Piercamillo Davigo, di dica una volta per tutte «qual è il confine tra civiltà del diritto e santa inquisizione».

Foto Ansa

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