Quelli che “poveri jihadisti, bisogna capirli”

Indagine sul tic di sottomissione e debolezza culturale che porta media e intellettuali a voler comprendere non le motivazioni della violenza ma le sue ragioni. Ma a forza di dire che "va contestualizzata", la realtà non esiste più

Se Patrick Zaki, fresco fresco d’innalzamento autorale per la pubblicazione del suo libro, invita a comprendere le ragioni dei terroristi e continua indefesso a sostenere, sotto forma di like, le argomentazioni propalestinesi, ecco emergere, di pari passo, su stampa e nei salotti televisivi, la costruzione oleografica del “povero jihadista”.
Un autentico costruttivismo che sfodera, epistemologicamente, l’idea secondo cui la realtà sia talmente complessa e vada talmente contestualizzata da non esistere in senso assoluto, oggettivo, dato.

Una sorta di eterno ritorno del "nulla è vero, tutto è permesso" che fondava la sapienza dei Nizariti, e che ora, sociologi, politici, commentatori, giornalisti ci riversano addosso per farci intendere quanto e come certo, i jihadisti sparino, feriscano, ammazzino, si facciano saltare in aria, in un vorticante nichilismo imbevuto di pirotecnia e social network, ma dopotutto, ecco, si debba comprendere come e perché essi siano diventati jih...

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