Perché il genderismo woke è così aggressivo e intransigente?

Da Bari Weiss a Douglas Murray c' un ampio movimento che si oppone a questa forma di totalitarismo soft. E sotto sotto c'è una battaglia tra Usa e Francia

Contrariamente a quanto afferma Enrico Letta, il voto del Senato italiano che ha affondato il liberticida ddl Zan non allinea l’Italia con la Polonia e l’Ungheria, ma con i paesi occidentali dove è iniziato un significativo movimento di reazione anti-woke animato da progressisti, liberali, cristiani, centristi, femministe, gay conservatori: Stati Uniti, Regno Unito, Francia.

Negli Usa gli abbonamenti a Substack Common Sense, il sito creato dalla giornalista Bari Weiss dopo essersi dimessa polemicamente dal New York Times per la mancata difesa della libertà di espressione da parte del quotidiano liberal, ha già superato i 10 mila abbonati; nel Regno Unito la storica organizzazione pro LGBTQ+ Stonewall è finita nel mirino del Times, di due giornalisti d’inchiesta della Bbc e di Douglas Murray (il consigliere conservatore gay che convinse David Cameron ad appoggiare il matrimonio fra persone dello stesso sesso in Gran Bretagna); in Francia è addirittura il governo di centro-sinistra di Emmanuel Macron ad aver dichiarato guerra alla cultura woke, attraverso la creazione di un “laboratoire de la Republique” presieduto dal ministro dell’educazione nazionale Jean-Michel Blanquer incaricato di combattere questo “virus” che potrebbe disarticolare la società francese.

Oltranzismo di sinistra

È certamente troppo presto per scrivere, come ha fatto Joel Kotkin su spiked-online, che il woke ha raggiunto il suo “high water mark”, il livello massimo storico da cui può soltanto scendere. Ma non c’è dubbio che il voto italiano si inserisce in una tendenza in ascesa; non è affatto un sintomo di attardamento o di movimento retrogrado, come pretende l’ineffabile segretario del Pd. Resta invece sempre e ancora da chiedersi, anche alla luce delle reazioni isteriche e irrazionali di politici, giornalisti e uomini di spettacolo di sinistra e dei media televisivi (roba da smettere di pagare il canone alla Rai) al voto che ha bocciato il ddl Zan, il perché dell’oltranzismo con cui la sinistra contemporanea (usiamo il termine “sinistra” per comodità) pretende non soltanto di promuovere i cosiddetti (presunti) diritti civili negati delle minoranze sessuali e di altra natura, ma di imporre per legge a tutti di pensare come vuole lei, di sanzionare penalmente chi non si sottomette e di organizzare corsi di indottrinamento sin dalla più tenera età.

Neototalitarismo woke

Quell’oltranzismo che spaventa persino personalità come Douglas Murray, militante del matrimonio fra persone dello stesso sesso e del loro diritto all’adozione in Inghilterra, che nel suo La pazzia delle folle. Gender, razza e identità prende le distanze da un movimento che vuole imporre la fluidità sessuale, l’equivalenza fra donna biologica e transessuale donna, l’abolizione delle parole “padre” e “madre” (sostituite da “parenting person”), la morte civile di chi non accetta di conformarsi al pensiero e al vocabolario gender, ecc.

Su questa faccenda si sono tentate varie interpretazioni. Per Murray il neototalitarismo woke si spiega col background marxista dei suoi fautori; noi preferiamo l’interpretazione secondo cui l’abolizione della differenza sessuale, che è l’orizzonte ultimo della rivoluzione antropologica in corso, è funzionale alla tecnologizzazione della procreazione umana che a sua volta è funzionale alla logica del massimo profitto dell’economia capitalista che sta organizzando il consumismo “sostenibile”.

Francia vs woke

Si tratterebbe insomma del volto contemporaneo del “nuovo fascismo” che Pier Paolo Pasolini vedeva già all’opera negli anni Settanta. Ma si possono tentare altre interpretazioni. Una particolarmente suggestiva la suggerisce l’inversione del discorso tenuto da Dario Fabbri di Limes nel suo “Approfondimento del venerdì” che aveva per titolo “Francia vs woke”.

Lì Fabbri spiega che la Francia come sistema si batterebbe contro l’ideologia woke perché nonostante le contrapposizioni tutto il mondo politico francese, dall’area politica del presidente Macron fino agli oppositori estremi come Eric Zemmour, con la sola eccezione degli “islamogoscisti”, sono in realtà d’accordo che la Francia deve mirare all’assimilazione delle minoranze etniche e religiose e non al loro accomodamento comunitarista, come prevederebbe la visione del mondo che arriva dall’America. Visione «minimalista, pericolosa, post-storica che crea divisioni nella società».

I paesi che, come la Francia, si concepiscono come grandi potenze che devono costantemente considerare la possibilità della guerra, non possono fare a meno dell’assimilazione, perché devono essere certi della lealtà di tutti i cittadini quando verrà il momento (prima o poi verrà di sicuro) di imbracciare le armi.

Totalitarismo soft

«L’assimilazione è caratteristica delle grandi potenze e prevede una forte violenza culturale nei confronti di chi viene assimilato», dice Fabbri. Il ragionamento però contiene una contraddizione: anche gli Stati Uniti, il paese del movimento woke, sono una grande potenza. Anzi: sono (ancora per poco) la superpotenza egemone. Come potrebbero promuovere un movimento ideologico contrario al loro stesso status?

Fabbri del resto lo ammette apertamente e cita dei nomi: le grandi potenze fautrici dell’assimilazione perché sanno di dovere combattere delle guerre sono Stati Uniti, Cina, Francia e Turchia. Dal che si deduce la conclusione che il movimento woke, nella misura in cui diventa egemone negli Stati Uniti e da questi viene imposto ai loro satelliti (come l’Italia), deve necessariamente essere organico agli interessi egemonici degli Usa.

Per esserlo, deve mirare a quella che Fabbri chiama assimilazione e che possiamo anche chiamare egemonia politica e culturale, o meglio ancora: totalitarismo soft.

Laicità contro comunitarismo

L’ideologia woke viene imposta negli Usa con pesanti discriminazioni contro i dissidenti non solo nelle università e nei media, ma nell’organizzazione del lavoro delle grandi multinazionali Gafa e nelle politiche delle amministrazioni Democrat, perché una grande potenza non può fare a meno dell’omogeneità valoriale della sua popolazione. Quando questa si indebolisce, le guerre si perdono (come nel caso di quella del Vietnam).

Lo scontro fra Francia e Usa non verte sul concetto di assimilazione, ma sulle sue modalità. Proprio perché la Francia di oggi ambisce (velleitariamente o meno è un altro discorso) a sottrarre quote di influenza agli Usa, deve basare la sua azione assimilatrice su un’ideologia diversa da quella dell’egemone con cui entra in competizione: la “laïcité à la française” contro il comunitarismo e la “cancel culture” dei woke.

Le cose sono cambiate

Che questa interpretazione dell’intolleranza woke di stampo neototalitario abbia delle buone basi, lo si può dedurre da un altro dettaglio: finché totem sacri del woke (che non si chiamava ancora così) come il matrimonio fra persone dello stesso sesso o l’eutanasia o il consumo legale di cannabis si sono manifestati in stati periferici dell’Occidente come l’Olanda e i paesi scandinavi, il dibattito su questi argomenti è rimasto civile e l’ipotesi che non dovessero diventare leggi in tutti i paesi occidentali ha mantenuto la stessa dignità dialettica dell’ipotesi contraria.

Quando questi punti di vista sono diventati i connotati di un movimento politico-culturale di provenienza americana, le cose sono completamente cambiate: l’atmosfera nei media e nel dibattito pubblico si è fatta irrespirabile, l’idea di sanzionare penalmente i diversamente pensanti ha preso piede, l’indottrinamento non è stato più considerato una caratteristica da stato totalitario.

Chi, soprattutto nel mondo cattolico, continua a snobbare le preoccupazioni di chi lancia l’allarme sul totalitarismo soft che sta prendendo piede nell’Occidente politicamente e militarmente egemonizzato dagli Usa, farebbe meglio a riflettere.

Foto Ansa

Exit mobile version