Cento orfani dell’Ucraina fanno un inizio di popolo

Gli alpini, le signore coi secchi, i barbieri, il sindaco che non bada a spese, il risveglio di un villaggio. A Rota d’Imagna, nella bergamasca, «questi bambini arrivati dalla guerra sono una grazia», spiega il parroco don Stefano Galbusera

«Li senti? Sono più di cento, li sto portando da te». L’autista aveva allegramente tuffato il cellulare nel chiasso del pullman stracolmo di bambini in viaggio dalla Polonia alla bergamasca. Poi la sua voce si era fatta seria, «sono degli stracci, don Stefano, stracci dentro altri stracci».
Dall’altra parte del telefono c’era don Stefano Galbusera, parroco di Rota d’Imagna, incantevole paese di novecento anime nel cuore della Valle Imagna, costellata di montagne, ruscelli, contrade. Un luogo di pace, placidamente addormentato nella natura, che sarebbe stato di lì a poco vigorosamente risvegliato dai bambini della guerra.

«Ci eravamo messi tutti in moto appena era arrivata la chiamata dal confine: gli alpini a sistemare i letti a castello nell’Hotel Posta, le signore del paese con secchi e spazzoloni perché fosse tutto a posto e pulito all’arrivo dei bambini. Coperte calde, pasto caldo, vestiti puliti – racconta don Stefano a Tempi – . Immaginate come sono arrivati».

Scappando dall’Ucraina, «qui resteranno»

Avevano attraversato l’Ucraina, in treno, pullman dal Mar d’Azov a Chelm in Polonia. Erano partiti da Berdjans’k, 80 chilometri da Mariupol, dopo essere rimasti nascosti sottoterra, in un bunker, per una settimana. Avevano raggiunto il confine al terzo tentativo, dopo che i corridoi umanitari erano stati interrotti per due volte. Si può solo immaginare come sono arrivati, “stracci negli stracci”, domenica 20 marzo, negli occhi i detriti della guerra e nel cuore il terrore dei bombardamenti. Ma anche il loro volto abbagliato dal verde e sbalordito dal calore di un mondo piccolo che si era radunato per accoglierli: il volto di 125 ragazzini di un orfanotrofio che ora non c’è più. «Quello è stato bombardato. Ma la loro “casa” – spiega il parroco -, la famiglia che sono diventati crescendo insieme, quella si è solo trasferita nella Valle Imagna dove nessuno li dividerà».

Solo un gruppetto di piccini e uno di ragazzini più grandicelli è stato ospitato a Bedulita e nella Casa del Pellegrino dell’abbazia di Pontida, gli altri, 93 ragazzini, sono tutti in paese all’Hotel Posta con i loro educatori. «E qui resteranno. È tutto pronto anche per la ripresa della scuola, abbiamo fatto le prove e verificato i collegamenti con tre scuole, elementari, medie e superiori in Ucraina: potranno seguire le lezioni in Dad».

Il parroco, il villaggio e un sindaco capitano

Qui resteranno: la storia di Rota d’Imagna non è una storia di volontarismo, ma di un villaggio, un intero villaggio dell’accoglienza. C’è il parroco, c’è sempre un parroco nelle più belle storie di frontiera, che dice messa e si fa in quattro per ogni cosa, ma ci sono anche i barbieri che si sono fatti sotto per tagliare gratis i capelli a tutti, i medici che visitano i bambini, i dentisti a caccia di carie, i gelatai che distribuiscono coni. E donne e uomini di buona volontà che col passaparola hanno fatto arrivare in paese universitari da Bergamo che masticano il russo e si sono offerti come traduttori. Ci sono le società calcistiche che hanno già giocato una partita Italia-Ucraina, le autorità che lavorano giorno e notte con la Regione e con Roma per sistemare le cose sul piano burocratico, e c’è anche un uomo della “provvidenza”, il delegato all’accoglienza del comune, Zaccheo Moscheni, che dopo una vita a lavorare per i servizi sociali a Milano, li ha coordinati tutti, volontari, imprese, prefettura, senza lasciare nulla al caso e all’improvvisazione.

Un villaggio capitanato da un sindaco coraggioso, Giovanni Locatelli, che nei giorni scorsi ha detto chiaro e tondo: «I bambini restano qui». Ma costano all’amministrazione 45 euro a bambino ogni santo giorno, moltiplicato per cento fa 4.500 euro, avevano sottolineato i giornalisti. «Sì, certo che costano – aveva ribattuto il sindaco – ma non facciamo un salto nel buio, abbiamo le spalle coperte. Ci sono le risorse dello Stato e quelle della Regione. Inoltre, ci sono anche aziende e persone che si sono dette disposte a dare una mano. Che cosa dovevamo fare? Dividere questi ragazzini, magari dieci bambini in dieci comuni diversi? Così, dopo tutti i traumi che hanno vissuto, si sarebbero magari trovati separati dai loro migliori amici».

Ex colonie, calciatori e spazzolini

In fretta il paese era tornato quello di una volta, coi bambini che sciamano per le contrade, che giocano al parco, in oratorio. «Sa, una volta qui c’erano le colonie, mi hanno raccontato che d’estate si arrivava anche a quindicimila persone, tra famiglie e turisti, tutti in cerca di aria buona, sentieri di montagna, cose belle a un passo da Milano. Stanotte è nato un bambino ma in generale io credo non si arrivi a settanta ragazzini tra le materne e le medie: stiamo indubbiamente invecchiando se conta che siamo in circa novecento abitanti». Novecento abitanti per cento bimbi ucraini, un bimbo ogni nove cittadini: sono stati loro a ridestare il cuore giovane degli abitanti di Rota d’Imagna dopo la lunga agonia patita nella bergamasca con il Covid.

L’altro giorno è arrivato il clown Albicocco (Massimo Giudice del Cesvi), e a un certo punto è spuntato in paese pure il centrocampista ucraino dell’Atalanta Ruslan Malinovsky, con la moglie e due macchie cariche di ogni ben di Dio, mandando in subbuglio tutto il paese. «Siamo sommersi da spazzolini, dentifricio, quaderni, uova di Pasqua, giacche a vento, merce di ogni tipo. Qui in parrocchia abbiamo aperto un conto corrente e tutti con offerte e donazioni stanno sostenendo l’accoglienza e le necessità più minute», racconta sereno il parroco. «Ne abbiamo per tenerli con noi all’infinito».

I bambini fanno un inizio di popolo

Quello che lo preoccupa ora è la tenuta di tanto affetto e non in termini di risorse: «Io sono qui da sei mesi e quello che è accaduto due settimane fa, con l’arrivo di questi orfani, non posso che chiamarlo grazia. Eravamo addormentati, poi, in questi giorni sospesi, è accaduto qualcosa che non aspettavamo, che ha risvegliato in noi la possibilità di farci dono. E che dobbiamo riconoscere come dono per noi. Io sono certo che sarà la gratitudine a tenere desta l’accoglienza, perché l’arrivo di questi bambini venuti dalla guerra ci mette al seguito di qualcosa che porta il buono e il bello anche per noi. In principio non sono serviti grandi discorsi, come spiegavo l’accoglienza è nel dna di Rota d’Imagna e ciascuno è corso ad aiutare. Ma perché vada presa sul serio e resti nel tempo, perché questi bambini restino un avvenimento, accogliere deve diventare un inizio. Di persona, comunità, popolo. Il resto, sono sicuro, lo farà questo luogo, abbracciato da una bellezza che rende certo anche il più piccolo di questi bambini di essere fatto per il bello e qualcuno che ti vuole bene, non per le bombe, i detriti, i cadaveri a terra».

Un bambino per noi: se c’è sempre un parroco nelle storie di frontiera, c’è anche sempre un bambino all’inizio di tutto, e c’è un viaggio da raccontare. Prima di uscire dal paese gli oltre cento orfani erano stati fermati a molti posti di blocco. I soldati salivano sui mezzi, con i mitra, la z in evidenza. I bambini zitti tremavano come foglie. Il parroco ucraino che li accompagnava alla frontiera aveva finto allora che fossero lì per aiutarli, «vedete la z? È l’iniziale del nome del nostro orfanotrofio. Sono qui per farci passare». I bambini si erano rianimati e non stavano girando un film di Benigni. Stavano scappando dall’ovest di un paese bagnato dal sangue e dalle lacrime. «Li senti?», avrebbe esclamato in seguito un autista italiano parlando al telefono con il suo parroco della Valle Imagna. «Li sto portando da te».

Foto Ansa

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