Gli operai della Tav scrivono a Erri De Luca: «Per noi il verbo nobile è lavorare e quello ignobile è sabotare»

I lavoratori chiedono un confronto all'intellettuale. «Siamo noi quelli che hanno vissuto gli assalti con cesoie, sassi, molotov e bombe carta»

Si avvicina il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, che evidenzia più di una contraddizione nel movimento No Tav, che attacca (non solo a parole) gli operai del cantiere della Torino-Lione, all’insegna dello slogan “c’è lavoro e lavoro”. Mentre l’area dell’autonomia, sempre più egemone nel fronte trenocrociato, annuncia di voler trasformare il corteo torinese nell’ennesima occasione di scontro; qualche giorno fa, gli operai del cantiere hanno scritto a Erri De Luca, che, come noto, ha difeso definendoli legittimi sabotaggi (e per questo è imputato) gli assalti al cantiere di Chiomonte, invitandolo al confronto. Il loquace scrittore, ad oggi, non ha risposto.

Al cantiere della Tav lavorano circa 150 dipendenti tra lavoratori diretti e indiretti. In questi mesi, si scrive nella missiva, «qualche intellettuale ha inneggiato al sabotaggio dell’opera in nome della libertà di espressione. Ma non ha parlato con noi sabotati, non si è curato delle nostre espressioni e si è ben guardato dal venire in cantiere. Eppure siamo noi quelli che hanno vissuto gli assalti con cesoie, sassi, molotov e bombe carta. Con un nostro collega ferito e un militare invalido per tutta la vita. Siamo uomini e donne che si guadagnano il pane sudando e non siamo raffinati intellettuali: per noi il verbo nobile è lavorare e quello ignobile è sabotare».

Gli operai non girano intorno alle questioni, ponendo l’ex capo del servizio d’ordine di Lotta Continua, oggi scrittore, davanti alla cruda realtà. «La notte che sono arrivati con le molotov hanno colpito un compressore che stava lì, di fianco all’ingresso della galleria. Nei giorni successivi hanno scherzato. Dicevano che “nell’assalto non si è fatto male nessuno, è solo morto un compressore”. Ma chi era dentro la galleria avrebbe fatto la fine del topo se non fosse arrivata la polizia dall’esterno a spegnere il fuoco davanti all’ingresso. Ecco, è lavorare questo? Noi dagli intellettuali come De Luca vogliamo sapere se tutto questo è normale. Se è normale che ci dobbiamo rifugiare nel container con i respiratori, quello che chiamano l’arca, non per una precauzione antinfortunistica ma perché i sabotatori arrivano ad attaccarci dall’esterno. Noi siamo qui per lavorare». Troverà il tempo di rispondere agli operai, chi qualche decennio fa faceva professione di operaismo?

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