Old ideas, la poesia di Leonard Cohen si avvicina a Dio

Il cantautore canadese incide un album emozionante, lento e intimo. Un testamento spirituale e musicale dove la voce profonda scivola sicura sulle note di una piccola ensamble di fiati, violini e chitarre

È dal 1968 che, tra eccessi (ah, le donne!) e domande esistenziali, Leonard Cohen racconta con le sue morbide ballate, con voce trascinata e grave, in un mood che ondeggia tra spiritual e blues, la quotidianità di un uomo diviso tra musica, letteratura e pittura. La sua voce, già da giovane, rimanda all’essenzialità del crooner che ha abbandonato i locali fumosi e l’orchestrina swing, valorizzando più i silenzi che le trame strumentali per poter assecondare la sua vena poetica intrisa di mare, di donne e di Dio. È così che sono nati capolavori come Suzanne, Bird on wire, Hallelujah, Everybody Knows, gemme musicali così splendenti da diventare punti di riferimento per generazioni di artisti tra i più disparati: Joe Cocker, Bono Vox, Bob Dylan, Jeff Buckley e tanti altri ancora, come i nostri Francesco De Gregori e Fabrizio De Andrè. Dopo la pubblicazione di dischi fondamentali e dopo un lungo esilio meditativo in un convento di monaci zen, da qualche anno Cohen, alla veneranda età di settantotto anni, è impegnato in tour mondiale lunghissimo, violentando la sua stessa indole riservata e poco propensa al confronto col pubblico pagante. Questo impegno mondiale non gli ha vietato di scrivere nuovi brani per un album dal titolo eloquente: Old Ideas, nuova raccolta di inediti.

Dedicato a chi sta guardando la propria vita, Old Ideas è un album affascinante, lento e intimo, come forse nessuno mai: una decina di brani cantati con una voce sempre più profonda, cosciente del tempo passato e di quello che il destino gli concederà ancora di vivere, sorretta da una band acustica che si insinua con un tappeto sonoro fatto di banjo, tastiere hammond, una piccola ensamble di fiati, violini e chitarre e un sempre presente terzetto femminile che fa da contrappeso all’indolenza canora del grande artista. Mentre si dipana l’atmosfera notturna e meditativa tra gospel, citazioni western, leggeri swing e dondolanti ninne nanne, ci accorgiamo che forse questo lavoro è un punto di non ritorno nella produzione di Cohen: «So che i miei giorni sono pochi» canta in Darkness, «Dimmi ancora una volta quando ho visto attraverso l’orrore, dimmelo di nuovo più e più volte, dimmi che mi ami» è l’invocazione di Amen, «Sentiamo nei cieli l’inno penitenziale, si aprono le porte della misericordia e viene la guarigione dello spirito e del corpo» è la domanda di salvezza in Come Healing e l’ultima definitiva sfida a Qualcosa che ci trascende: «Fammi vedere il posto dove vuoi che il tuo schiavo vada, aiutami a far rotolare il masso che non ho dimenticato» e in Show me the Place, c’è tutto, la vita, la morte e la risurrezione.
 

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