Oh Silvio, povero Silvio. Ma al Milan serve più un Berlusconi che un Kakà

Nella sconfitta con la Sampdoria della scorsa domenica, quello che sembra esser mancato al Milan, più che il denaro, è il suo presidente. Dopo due anni orribili, nella vita pubblica e privata, Silvio Berlusconi pare stremato.

San Siro, domenica d’agosto, è un Milan anonimo, crepuscolare, quello che scende in campo nella prima partita di campionato contro la Sampdoria. Tristezza più che rabbia. Anche i fischi dagli spalti hanno una nota di malinconia. Con chi prendersela ora che non c’è Seedorf? Non ascolteranno più il ringhio di Gattuso, non spereranno più in un miracolo di Inzaghi (goal all’ultimo secondo e in fuorigioco). Della squadra che ha fatto grande il Milan nel primo decennio del ventunesimo secolo, l’unico sopravvissuto è Massimo Ambrosini. A poco servono gli annunci di Galliani: Niang, Bojan… Dopo la vendita di Thiago Silva e Ibrahimovic, il tifoso non sente e il tifo è ovattato. «31 agosto: attendiamo fiduciosi» è la fiacca preghierina che i milanisti rivolgono al Presidente Berlusconi. Ha pochi giorni per esaudirli, poi il mercato finirà e i giochi saranno fatti. Aspettano qualcosa, i tifosi, ma non ne sono convinti nemmeno loro. Kakà, compianto e formidabile e un po’ ammaccato, rimane imprigionato a Madrid, per ragioni fiscali, e Mourinho, gelido, ha girato il coltello nella piaga: tirate fuori i soldi.

Al Milan non manca Kakà ma Berlusconi
Il problema del Milan è più di un problema di soldi. È il problema di Silvio Berlusconi. L’ex presidente del Consiglio è stanco, stremato da una vita in prima linea, e soprattutto da due ultime stagioni di fuoco. All’autunno del 2010, che vide l’esplosione dello scandalo Ruby, è seguito un biennio di eventi che hanno messo a dura prova la sua tempra. Prima, come leader di centrodestra, si è ritenuto responsabile della sconfitta clamorosa alle comunali di Milano, a maggio del 2011; subito dopo, a luglio, ha dovuto accettare che la Fininvest, che controlla Milan, Mediaset, Mondadori e Mediolanum, pagasse 560 milioni di indennizzo alla Cir del suo acerrimo “nemico” Carlo De Benedetti. Mediaset, che della sentenza ne ha risentito di più, in un anno ha perso il 40 per cento del suo valore in borsa. Infine la crisi del debito pubblico, a cui sono seguite le dimissioni da Presidente del Consiglio e poi il crollo dei consensi del Pdl, che con la sconfitta nelle elezioni comunali del 2012 è finito sotto i minimi del 20 per cento. Paradossalmente è soltanto sul versante giudiziario che Berlusconi ha segnato una vittoria, con l’assoluzione, a febbraio, nel processo-Mills.

Che fa Berlusconi? Molla la partita?
Benché le sue imprese, Mondadori in testa, rimangano forti sul mercato, negli ultimi due anni i ricavi si sono ridimensionati e, secondo gli analisti, la loro prospettiva di crescita è alquanto incerta. Quello che è ancora più incerto, però, è il futuro del Cavaliere. Ha ancora tre procedimenti giudiziari da affrontare come imputato e le elezioni del 2013 come leader (e forse come candidato premier) del maggior partito di centrodestra. Eppure rimane in panchina, a guardare. Il Milan non può permettersi grandi giocatori, ha detto, la scorsa settimana, quando gli si chiedeva se avrebbe investito all’ultimo momento in qualche campione, come aveva fatto in altri anni. Le sue parole, però, sembravano più una personale rinuncia che una realistica constatazione. Il dubbio è se il Cavaliere, che sembra non credere più nella squadra che ha accompagnato tutta la sua vita pubblica per più di vent’anni, nella buona e nella cattiva sorte, abbia la forza per continuare la sua partita come personaggio pubblico di primo profilo. La domanda è: se Berlusconi rinuncia al Milan, perché non pensare che non lo farà col resto? Berlusconi molla la partita? O ci crederà fino alla fine, come Inzaghi?

Exit mobile version