Oggi è il giorno del ringraziamento. E ogni giorno c’è un motivo per ringraziare

Non ha senso non apprezzare le cose che ci sono; e non ha senso avere più cose se le si apprezza di meno.

G. K. Chesterton

 

 

Legge di stabilità e decadenza di Berlusconi, ecco le questioni al centro dell’agenda politica di questi giorni. Di solito vediamo la distanza tra il palazzo e la piazza, tra chi ci governa e il paese reale. Talvolta è curioso constatare quanto gli eventi politici fotografino la condizione reale, forse al di là delle loro consapevoli intenzioni. “Stabilità e decadenza”, due parole che nelle ultime settimane sono andate a braccetto su tutti i titoli dei giornali e sulla bocca di tutti i politici. Ed è un binomio proprio significativo, uscendo dalla prospettiva della stretta attualità e considerando la cosa più in generale: la politica è, in fondo, una grande faccenda inerente la stabilità e la decadenza. Ogni polis è un tentativo di tenere in piedi qualcosa di stabile, in mezzo alla decadenza generale. Siamo un corpo solido immerso in un liquido, come canta Luca Carboni: ogni giornata è la cronaca dei nostri vari sforzi di mettere in piedi qualcosa di solido (fosse anche solo la cena sulla tavola) stando immersi nel liquido delle variabili, che possono tradurre gli sforzi in fallimenti (fosse anche solo il forno in cui vedi tristemente smontarsi il soufflé).

Stabilità e decadenza è come dire: ci tocca fare e rifare. Insomma, simbolicamente parlando, mai agenda di governo fu più simile alla mia agenda. Appunti evidenziati e altri cancellati, appuntamenti mancati nel presente e altri fissati per il futuro; progetti che fanno i conti con mancanze, attese ripagate da ritardi. Pur essendo talvolta capaci di fare tutto al meglio, la gratificazione della stabilità è un momento di passaggio, perché tutto patisce l’erosione della dimenticanza, degli attacchi esterni volontari o involontari. Siamo precari. Frase, anche questa, quanto mai sovrabbondante nella cronaca. Ed è tutt’altro che esaltante sentirsi precari, cioè poco stabili e molto decadenti.

L’unico contesto in cui si può parlare di precarietà in modo gioiosamente florido è quello infantile. Il bambino, giocando, monta e smonta. Fa da capo la stessa cosa mille volte e pare che l’aspetto divertente sia proprio distruggere e ricostruire. Mette i suoi cubi uno sull’altro e poi li butta allegramente giù per rimetterli di nuovo uno sull’altro. Fare e rifare non lo annoia, ma – se possibile – lo esalta. E non credo che questo genere di euforia derivi dal fatto che i bambini, in cuor loro, abbiamo una visione progressista delle cose; non credo che ciò che li sprona sia il pensiero che i fallimenti presenti siano giustificati dal frutto migliore che verrà nel futuro. Personalmente l’idea sottesa all’idolo del progresso ha smesso di convincermi da quando, grazie alle parole del signor Chesterton, ho intuito che lo scontro tra il nostro desiderio di stabilità e le nostre molte decadenze non può pacificarsi semplicemente spostando lo sguardo al domani, di cui peraltro non sappiamo proprio niente.

L’opposto del progresso, invece mi convince molto: un vero punto di stabilità può essere trovato guardandosi alle spalle ed è l’ipotesi contenuta nella Creazione, cioè l’idea che ogni cosa sia buona al suo principio, qualsiasi cosa accada di essa nel tempo. Lo espresse con parole molto suggestive Chesterton, dicendo che il punto debole di chi venera il progresso «sarà scoperto non solo da tutti i poeti, ma da tutti i bambini. Si tratta del fatto che se il cielo non è bello, niente è bello. Se lo sfondo di tutte le cose non è positivo non serve a niente migliorare ciò che è in primo piano» (da La serietà non è una virtù).

Il punto forte del bambino è alle sue spalle. La sua cameretta è un laboratorio creativo, che pare un paese devastato da un’esplosione atomica, perché è una camera dentro una casa. Tutto è fuori posto, in disordine e assolutamente precario perché è uno spazio libero dentro un edificio solido. Infatti, se è vero che siamo un corpo solido immerso in un liquido, è non meno vero, come prosegue Carboni nella sua canzone, che siamo anche un corpo liquido immerso in un solido. E questo è il risvolto edificante della medaglia e la parte meno mortificante della nostra precarietà: se lo sfondo è solido, noi possiamo lietamente darci da fare pur essendo liquidi, cioè inevitabilmente instabili. La precarietà è un terreno difficile da abitare, ma è una spiaggia e non una voragine.

Stabilità e decadenza restano all’ordine del giorno nella nostra agenda, ma se lo sfondo è la parte rilevante del quadro umano, allora vale la pena fermarsi un attimo per vedere se tra le tante sabbie mobili riconosciamo una roccia su cui metterci a costruire una casa, dalle fondamenta solide e coi muri esposti alla mutevolezza del mondo. E così, giusto per concludere il mio flusso pensieri con un’altra associazione puramente simbolica, mi viene da pensare che sullo sfondo di queste nostre vicende nazionali in balia di stabilità e decadenza, oggi in America si festeggia il giorno del Ringraziamento. Ci avrà pensato anche qualcun altro, trovando (mi immagino) in questa coincidenza una ghiotta occasione per sbizzarrirsi con vignette su grandi tacchini arrosto, miseramente deceduti/decaduti. Io mi limito a guardare cosa c’è sulla tavola della mia giornata, tra le pagine della mia agenda… anzi, meglio ancora, in quella del signor Chesterton. Per lui ogni giorno era il giorno del ringraziamento, essendo il ringraziamento quel sano esercizio in grado di mettere a fuoco ogni giornata. E tra le pagine di uno dei suoi diari si trova, in mezzo ad altri appunti eterogenei, questa poesia intitolata Benedizione, composta a 18 anni:

Tu rendi grazie prima dei pasti. Molto bene.

Ma io dico grazie davanti alla commedia e all’opera lirica,

dico grazie davanti al cantante e al mimo,

e grazie prima di aprire un libro,

e grazie prima di scarabocchiare, dipingere, nuotare,

colpire di spada o di pugno, camminare, giocare, ballare;

e grazie prima di intingere il pennino nell’inchiostro.

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