Non esistono “cavie” del vaccino, tutto il processo è sperimentale

Dopo una fase III di eccezionale brevità per l'approvazione d'urgenza della profilassi diventa fondamentale la fase IV della farmacovigilanza (ma niente allarmismi sulle allergie)

Più ci chiedono di sognare la palingenesi – resistere fino al vaccino, torneremo a vita nuova col vaccino – più le domande si moltiplicano. Non sull’utilità di una profilassi vaccinale – ditelo ai celebrazionisti per cui chiunque osi porre questioni è un negazionista no vax -, ma sul ridurre il problema e il debellamento di una pandemia all’obbligatorietà o meno di qualche puntura. Don Roberto Colombo è genetista clinico e specialista nella diagnostica molecolare delle malattie rare, docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica (Roma) e consultore del Dicastero Laici, Famiglia e Vita della Santa Sede. A lui abbiamo chiesto un aiuto ad orientarci in questo pandemonio di informazioni e dichiarazioni sguainate sulla profilassi anti-Covid. Ne è nato un lungo approfondimento su efficienza, immunità, distribuzione, affidabilità e obbligatorietà vaccinale che vi proponiamo a puntate. Qui la prima (Non finirà con una puntura, «oggi non basta il vaccino per sconfiggere il Covid») e la seconda puntata (Oggi vaccinati non significa “impermeabili al virus”)Ecco la terza, a tema le diverse fasi di sperimentazione e le reazioni allergiche.

Professor Colombo, in merito a possibili effetti collaterali, l’Ema sottolinea che «con l’autorizzazione [alla distribuzione] predisporremo misure stringenti di monitoraggio su tutta la popolazione, inclusi gli anziani». È un modo scientificamente presentabile per dire che gli anziani – i primi a ricevere il vaccino insieme agli operatori sanitari – sono al momento le “cavie” per una ulteriore valutazione del vaccino?

La sperimentazione clinica dei farmaci, dei vaccini e di altri prodotti biotecnologi ad uso umano non si ferma alla Fase III, quella che deve fornire i dati per l’autorizzazione che le Agenzie governative sono chiamate a rilasciare per la immissione in commercio e la somministrazione di questi preparati. Vi è anche la Fase IV, che segue l’inizio e la prosecuzione dell’utilizzo effettivo del prodotto da parte dei pazienti attraverso la prescrizione medica. Questa ulteriore fase della sperimentazione – in realtà, tutta la pratica della medicina e della chirurgia è un processo “sperimentale”, nel senso che gli interventi medici o chirurgici producono evidenze che sono oggetto di continuo studio empirico per valutare l’appropriatezza e l’efficienza dell’assistenza sanitaria prestata ai malati – si fonda sulla farmacovigilanza. Anche dopo la commercializzazione, il nuovo prodotto viene tenuto sotto controllo per rilevare eventi avversi o problemi eventualmente sfuggiti agli studi di fase I-III, perché si manifestano molto raramente o a lungo termine, oppure solo in particolari condizioni o in determinati soggetti. Questi studi (mai definitivamente chiusi finché il farmaco o il vaccino è in uso) possono riguardare milioni di pazienti, e consentono analisi statistiche sempre più robuste, con un campione di scala così grande da consentire di rilevare effetti sulla morbosità e/o mortalità che riguardano una percentuale molto ridotta della popolazione, non rilevabili negli studi condotti prima della autorizzazione e commercializzazione su gruppi contenuti di volontari.

Sarà così anche per i vaccini contro il Covid-19?

Certamente. Ciò non di meno, una differenza (e non di poco conto) è legata alla eccezionale brevità della Fase III della loro sperimentazione, che sta portando ad una approvazione “di urgenza” della loro commercializzazione e della loro somministrazione. In questo caso, la Fase IV dovrebbe anche supplire – almeno in parte – alle carenze nella numerosità campionaria e/o nella estensione del periodo di osservazione degli effetti del vaccino verificatesi nella Fase III “accellerata”, evidenziando eventuali effetti e/o eventi avversi che avrebbero potuto affiorare in una Fase III più “distesa” perché non così rari o riguardanti categorie cliniche non così esigue nella popolazione. Non parlerei di vaccinati come “soggetti di sperimentazione” nella stessa misura dei volontari arruolati nella Fase III che precede l’autorizzazione del vaccino anti-Covid, ma, piuttosto, di “soggetti controllati” clinicamente in modo più frequente, completo e prolungato di quanto non accada in chi ha ricevuto un vaccino introdotto nella pratica medica con una procedura ordinaria. Questi controlli (follow-up) saranno utili per trarre conclusioni sempre più robuste sulla efficacia e sicurezza del farmaco, in particolare in alcune categorie di soggetti. È comunque necessario (eticamente e giuridicamente) informare ciascuno di essi sulla possibilità di eventi avversi che potrebbero manifestarsi a seguito della inoculazione del vaccino ed ottenere il loro consenso scritto alla procedura profilattica.

Dopo aver registrato, nelle prime ore della campagna vaccinale, casi di reazione al vaccino Pfizer-BioNTech tra due operatori sanitari 40enni inoculati, l’Agenzia britannica del farmaco (Mhra) raccomanda di non sottoporre a vaccinazione chi abbia «una significativa storia clinica» di allergie. Come dobbiamo prendere questa e le altre segnalazioni di reazioni indesiderabili? Eccesso di prudenza? Oppure, in tema di sicurezza dei vaccini, esse hanno un significato rilevante?

Mi sarei stupito se questi eventi avversi non si fossero verificati. L’anafilassi (una reazione allergica grave, a esordio molto rapido, che, se non trattata in modo adeguato con farmaci appropriati, può mettere a rischio anche la vita del paziente) è nota da lungo tempo come evento avverso dopo la somministrazione di farmaci e vaccini. In Europa, ogni anno, il numero di casi di anafilassi è compreso tra 1.5 e 7.9 ogni 100 mila soggetti. La frequenza nella popolazione generale è di circa lo 0.3 per cento, ma i casi ad esito fatale sono molto rari: circa lo 0.001 per cento. La rilevazione dei due casi britannici segnalati (che – come viene riferito – avevano già sofferto in passato di risposte esagerate del loro sistema immunitario, e per questo portavano sempre con sé la EpiPen, un dispositivo per la autosomministrazione di adrenalina in emergenza) rappresenta un esempio di studio di Fase IV di cui abbiamo parlato in precedenza.

Ma per questi soggetti fortemente allergici esistono alternative?

Prima di ogni vaccinazione (anche quelle più comuni, come l’anti-influenzale) è opportuno includere nell’anamnesi del paziente una valutazione della storia di eventi allergici, inclusi quelli ai farmaci e a precedenti vaccinazioni. Nel caso della vaccinazione anti-Covid, la disponibilità di diversi preparati a composizione differente potrebbe non escludere la possibilità che anche i soggetti con storia clinica di reazioni allergiche siano eleggibili per la profilassi vaccinale.

(3. Continua)

Foto Ansa

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