Noi figli della provetta non siamo foto da brochure

La replica di Stephanie Raeymaekers al direttore di Men Having Babies, organizzatore della fiera dell’utero in affitto a Bruxelles: «Fate affari sulla nostra pelle»

«Vediamo se sarai così onesta da pubblicare questa replica sul tuo blog». Detto fatto. Termina così la piccata risposta di Ron Poole-Dayan, direttore esecutivo di Men Having Babies (MHB), a Stephanie Raeymaekers. Ron si è molto arrabbiato per l’articolo che lei, una delle prime persone concepite con l’aiuto di un donatore di sperma anonimo, ha scritto su Tempi e sul suo blog dopo aver visitato l’expo dell’utero in affitto che MHB ha organizzato per il secondo anno di fila a Bruxelles, all’Hotel Hilton, a fine settembre. L’articolo non faceva che raccontare che cosa è successo alla fiera, dalla diffusione di listini prezzi per madri surrogate e bambini perfetti alle formule “soddisfatti o rimborsati”, fino alla presenza nei contratti dell’aborto obbligatorio per le surrogate nel caso che il bambino acquistato presenti “difetti di fabbricazione”.

Ron ha accusato Stephanie di «essere ingannevole e intellettualmente disonesta» e di aver scritto in buona sostanza un sacco di balle. E lei, dopo aver pubblicato la replica sul suo blog Donorkinderen, ha deciso di fare alcune precisazioni. Innanzitutto, «noi persone concepite tramite donatore di sperma anonimo», che non possiamo conoscere per legge chi siano i nostri genitori e siamo costrette a vivere all’oscuro della nostra identità per tutta la vita, «non amiamo le bugie e le verità nascoste». In ogni caso, «immagino che il suo staff abbia registrato le conferenze, quindi può sempre verificare di persone l’accuratezza delle mie affermazioni».

Il dibattito ha degli aspetti surreali, dal momento che l’associazione americana che sponsorizza l’utero in affitto giustifica la pratica a partire dal «diritto alla vita» dei bambini, accusando Stephanie di volerlo negare. Ma il diritto alla vita difeso da MHB è molto singolare e sfida il principio di non contraddizione: innanzitutto ammette l’aborto su richiesta dei “genitori” («chi non vorrebbe abortire nel caso un bambino avesse un difetto?», chiedeva un medico a Bruxelles alla platea di aspiranti genitori gay, mentre un avvocato rassicurava: «Una surrogata può essere obbligata a seguire le istruzioni, altrimenti i pagamenti verranno interrotti»), poi va a braccetto con l’eugenetica: «Durante il “bootcamp della surrogata” (citazione Anthony Brown, MHB)», scrive ancora Stephanie, «sono stati promossi ripetutamente test genetici per dare agli aspiranti genitori bambini più sani possibile». Molti «relatori promuovevano la selezione degli embrioni come forma di controllo della qualità. Spiegavano che gli embrioni con il più piccolo segno di anomalia vengono distrutti. Il vostro diritto alla vita per caso si applica anche a loro o solo a quei bambini che assomigliano alle foto usate per le vostre brochure?».

Comitati consultivi
Il direttore di MHB protesta anche perché è stata messa in dubbio la loro «etica». «Abbiamo un comitato consultivo al quale partecipano anche madri surrogate, che da più di un anno ha deliberato un quadro etico [all’interno del quale lavoriamo] tradotto in sei lingue e redatto da una coalizione di nove organizzazioni internazionali», si pavoneggia. Secca la risposta di Stephanie: «Non conta quanti comitati consultivi riuscite a mettere insieme: non potranno mai e poi mai giustificare quella fondamentale ingiustizia che infliggete a un essere umano quando lo create e usate solo per alimentare un business. Due torti non fanno una ragione. Ogni pratica costruita sulla pelle delle persone e che va contro il loro benessere e migliori interessi non è etica e dovrebbe essere proibita. Non legalizzata e praticata. A proposito: il vostro documento l’ho letto. Non mi ha convinto».

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