Il Nobel per la letteratura era woke prima ancora che il woke esistesse

Le motivazioni politiche dietro al riconoscimento ad Abdulrazak Gurnah non sono una novità: da decenni l'Accademia di Svezia è più attenta al politicamente corretto che al talento

Il Premio Nobel per la letteratura 2021, Abdulrazak Gurnah (foto Ansa)

Molti ormai lo hanno capito, ma giova ripeterlo a beneficio delle giovani generazioni: il Premio Nobel per la letteratura non premia la grande letteratura; l’eccellenza letteraria è assolutamente secondaria fra i criteri presi in considerazione dai giurati di Stoccolma per assegnare il Premio Nobel per la letteratura. Non si spiegherebbe altrimenti perché, da quando esiste (1901), non sia stato assegnato a scrittori e poeti come Anton Čechov, Lev Tolstoj, Henrik Ibsen, Henry James, Rainer Maria Rilke, Franz Kafka, Marcel Proust, Gilbert K. Chesterton, Virginia Woolf, Joseph Conrad, Francis Scott Fitzgerald, George Orwell, Ezra Pound, Robert Frost, Jorge Luis Borges, Graham Greene, Arthur Miller,  H.G Wells, Haruki Murakami, Chinua Achebe, Mario Luzi, Philip Roth, Milan Kundera (che in teoria potrebbe ancora riceverlo, essendo ancora in vita) e la lista può essere ancora allungata.

Una giuria “woke” prima che il woke esistesse

In un’intervista recentemente apparsa in Francia su L’Express e tradotta in Italia dal Foglio, Alain Finkielkraut lamenta le ragioni per le quali due dei suoi autori prediletti, Roth e Kundera, non sono mai stati premiati dai giurati svedesi: «La giuria di Stoccolma era “woke” prima ancora che la parola apparisse», denuncia l’accademico di Francia. «Philip Roth è stato accusato di misoginia dopo la pubblicazione del libro La mia vita di uomo, nel 1974. Questa accusa lo ha perseguitato, e la giuria del Nobel lo ha punito. Kundera è vittima dello stesso rimprovero. (…) Questo doppio rifiuto è una macchia indelebile. Bisognerebbe delocalizzare il Nobel, ma dove?». Intanto che riflettiamo su dove si potrebbe istituire un premio autenticamente letterario di portata mondiale, e su chi avrebbe i titoli per convocare una giuria meno ideologicamente condizionata di quella di Stoccolma, proviamo a chiarire che cosa è letteratura e cosa no.

Nell’intervista in questione Finkielkraut propone una definizione fulminante: «La letteratura è l’incessante esplorazione della pluralità umana». Alla quale segue immediatamente la spiegazione del perché oggi la letteratura appaia in crisi e il Nobel per la letteratura sia assegnato con criteri altri rispetto all’eccellenza letteraria: «Ma l’ideologia oggi in vigore riduce spietatamente questa pluralità allo scontro tra due forze, i dominanti e i dominati».

La motivazione per il premio di quest’anno? Politica

Condizionata da questa ideologia, la giuria del Nobel assegna il premio quest’anno al romanziere Abdulrazak Gurnah, tanzaniano di Zanzibar naturalizzato britannico, «per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti»: una motivazione sostanzialmente politica. Magari Gurnah è un signor narratore, i suoi personaggi sono vivi, la loro lingua è unica e le loro storie irripetibili – non lo sappiamo, perché non abbiamo ancora letto nulla di lui, che ha scelto di scrivere 9 romanzi su 10 in inglese benché la sua lingua madre sia lo swahili; ma non sarebbe per queste qualità che verrà premiato il 10 dicembre prossimo, bensì per sensibilizzare sulle ricadute a lungo termine del colonialismo britannico, colpevolizzato della feroce persecuzione delle popolazioni araba e indiana per mano degli africani a Zanzibar nel 1964.

Lo stesso accadde negli anni Novanta, quando un autore teatrale come Dario Fo fu premiato «perché», si leggeva nella motivazione ufficiale, «seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». Drammaturghi di maggiore fama come Arthur Miller, Tennesee Williams, Neil Simon, ecc. sono rimasti a bocca asciutta probabilmente perché non potevano vantare le stesse credenziali politiche di Dario Fo, cioè trovarsi a vivere in un paese dove uno dei massimi protagonisti della scena politica era Silvio Berlusconi. Se fosse vissuto ai giorni nostri probabilmente Tennessee Williams sarebbe stato premiato, potendo vantare rispetto ad altri il plus di essere omosessuale; ma la sfortuna ha voluto che tutti i suoi lavori siano stati scritti fra gli anni Trenta e Ottanta del secolo scorso, quando il “coming out” provocava danni piuttosto che vantaggi.

Il vizio ideologico c’è sempre stato

È evidente che quelli del Nobel non hanno capito cos’è la letteratura. Credono si tratti di un esercizio di militanza, e che sotto questo aspetto vadano scelti gli autori da premiare. Finkielkraut li rintuzza nel suo libro L’après littérature: «Scrivere un testo teatrale o un romanzo, non è essere al servizio di una causa: né la causa ebraica, né la causa operaia, né la causa dei neri, né la causa delle donne, né la causa delle minoranze. Tutte eccellenti le une più delle altre, queste cause sono per essenza generalizzatrici. La letteratura, al contrario, non riguarda che casi particolari: “Mantenere in vita il particolare in un mondo che semplifica e generalizza, è la battaglia in cui impegnarsi”».

Quello che forse non è chiaro nemmeno all’accademico di Francia, è che il vizio ideologico inficia il Nobel per la letteratura sin dalle origini, non è una degenerazione post-sessantottina. A Tolstoj il Nobel fu negato perché il presidente del Comitato giudicava inammissibili le teorie sociali, politiche e religiose del romanziere russo, cioè il suo anarco-pacifismo e la sua riduzione immanentistica del cristianesimo. A Ibsen fu negato perché i giurati volevano restare fedeli alla raccomandazione che Alfred Nobel aveva dato quando aveva istituito il premio, e cioè che i premiati dovevano essere “idealisti”: Ibsen fu considerato troppo “realista”. Nel 1939 la scelta sembrava restringersi fra due giganti come Virginia Woolf e Scott Fitzgerald, ma la Russia invase la Finlandia, e allora la giuria del Nobel premiò Frans Eemil Sillanpää, primo e unico finlandese a vincere il premio.

Sostituire il Nobel? Utopistico

Borges si giocò il Nobel per una cena con Videla e Pinochet, capi delle giunte militari rispettivamente argentina e cilena, in seguito condannati per crimini contro l’umanità. Vladimir Nabokov, l’autore di Lolita e di Fuoco pallido, fu candidato più di una volta, sempre senza successo. Nel 1974 gli furono preferiti Eyvind Johnson and Harry Martinson, due scrittori svedesi che facevano parte della stessa Accademia di Svezia che assegnava il Nobel! Nel 2018 il Nobel per la letteratura non è stato assegnato in omaggio al movimento me#too: siccome il marito di una dei componenti dell’Accademia di Svezia, amico personale anche di altri membri, era stato accusato di molestie sessuali, l’edizione 2018 fu annullata e rinviata all’anno successivo. In quello stesso 2018 si costituì in Svezia una sorta di premio Nobel per la letteratura alternativo. Quali dovevano essere i criteri per la scelta del vincitore? «La letteratura deve essere associata a democrazia, apertura, empatia e rispetto»: peggio la toppa del buco… 

Sostituire l’antiletterario Nobel svedese per la letteratura con qualcosa di più appropriato è un obiettivo utopistico. Tutto quello che si può fare oggi è applaudire coloro che il premio, per ragioni diverse, lo hanno snobbato totalmente rifiutandolo, come Jean-Paul Sartre, o parzialmente, come Bob Dylan, che fece penare l’Accademia di Svezia con le sue bizze. E continuare a leggere seguendo i consigli degli amici e di qualche caro vecchio insegnante, piuttosto che quelli di sconosciuti intellettuali svedesi coi quali non abbiamo nulla in comune.

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