Made in carcere. I portaocchiali fatti dalle detenute

La catena di ottica italiana Nau mette in commercio dei prodotti fatti dalle carcerate di Lecce e Trani. Per far conoscere a tutti la loro storia

«È nato tutto perché una sera stavo facendo la spesa in un supermercato, vagando tra i settori in cerca di un’idea per la cena come fanno tutte le mamme, e ho visto una borsa firmata “Made in carcere”. Mi è rimasto in testa quel nome, e appena arrivata a casa mi sono messa a cercare su internet, mandare mail, contattare chi avesse avuto quella bella idea. Ed è così che è nato il mio rapporto con Luciana Delle Donne, l’ideatrice di Officina Creativa, una cooperativa sociale che si prende cura delle detenute del carcere di Lecce e di Trani». A raccontare con voce entusiasta è Monica Salvestrin, del settore stile e creazione prodotti di Nau, la catena di ottica italiana che propone occhiali di design, in plastica riciclata, e a prezzi modici.

4,90 EURO AL PEZZO. Da un’intuizione è nato il progetto Nau per Made in carcere, una collezione di astucci per gli occhiali realizzati con materiali di scarto. Alle detenute sono stati forniti i pezzi di stoffa inutilizzabili e queste ne hanno fatto pezzi originali e unici, da qualche giorno in vendita in tutta Italia nei punti vendita della catena. «Il pezzo singolo costa 4,90 euro. Siamo stati noi a dare la commissione alle detenute, ad aiutarle a lavorare. Forse le spese di spedizione ci sono costate più di quello che guadagneremo», racconta ridendo la curatrice delle linee più innovative di Nau. «Ci sta a cuore che anche la moda possa essere etica, ed è per questo che abbiamo anche il progetto “Prezzo zero”, che consiste nel fatto di poter comprare gratis un paio di occhiali, arrivando in negozio con la ricetta medica. Una cosa di cui usufruiscono sempre gli anziani e le categorie più disagiate».

LA STORIA. Perché anche gli acquirenti conoscano la storia di questo portaocchiali in stoffa riciclata, sulla parte anteriore c’è uno spazio descrittivo del progetto. «Ho pensato che magari sarebbe stato comprato come regalino di Natale dell’ultimo minuto al collega, al vicino di scrivania. E allora sarebbe stato bello regalargli non solo l’oggetto fisico, ma anche la storia delle detenute che vi hanno lavorato».

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