«Nel mercato globale se non investi e cresci, sparisci. In Italia c’è una visione “anni Settanta” dell’imprenditoria»

«Il contesto è tutto per chi vuole fare impresa. Anche in Italia, dove si è persa l'attenzione necessaria a costruirne uno favorevole». Parola di Francesco Mutti, ad dell'omonima azienda

I costi del non fare tagliano le gambe alle imprese. E la prima ragione per cui in Italia non calano le tasse e non cambia mai nulla a favore delle imprese è perché manca la volontà di farlo. È di questo parere Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonima azienda di famiglia, che da oltre un secolo produce conserve alimentari, soprattutto polpe, passate, concentrati e sughi di pomodoro. Un’azienda sana, con un fatturato pari a 120 milioni di euro, di cui solo 37 realizzati grazie all’export, e in crescita da dieci anni consecutivi. Un’azienda le cui quote di mercato in Italia sono pari al 33 per cento per la polpa, al 52 per cento per il concentrato e al 19 per cento per la passata di pomodoro. Mutti, oltretutto, ha già realizzato investimenti tecnici per oltre 20 milioni di euro e ha assunto negli ultimi tre anni, facendo crescere gli occupati a tempo indeterminato del 20 per cento e gli impiegati stagionali durante il periodo della raccolta dei pomodori del 40 per cento.

Detta così, sembrerebbe che il pomodoro non conosca la crisi. Com’è possibile?
Certamente le performance rilevanti degli ultimi dieci anni ci hanno permesso di crescere molto rapidamente e il nostro legame con il consumatore si è via via rafforzato. Ma non è sempre stato così facile come erroneamente si potrebbe credere: oggi raccogliamo i frutti di quanto finora abbiamo seminato. In particolare, quelli della scelta di aver investito su un prodotto di qualità in un’ottica di lungo periodo e di non aver difeso, invece, come pure avremmo potuto fare, posizioni già acquisite e quote di mercato, andando al risparmio e rosicchiando sui centesimi, secondo una logica che, però, avrebbe inevitabilmente avuto un orizzonte assai più breve.

Perché non è stato così semplice?
Il contesto in cui operiamo non è semplice e il contesto è ovunque condizione fondamentale, direi assoluta, per chi vuole fare impresa. Anche in Italia. In uno scenario globale, infatti, diventa importantissimo investire per migliorarsi, perché o si cresce oppure si è condannati a sparire sotto i colpi della concorrenza.

Cosa non funziona in Italia?
Cuneo fiscale
e costo dell’energia a parte, che comunque rappresentano un limite oggettivo per chiunque voglia investire in Italia, si è persa nel corso degli anni quell’attenzione necessaria a costruire le condizioni adatte a fare impresa. E si è venuta a creare così una situazione generalizzata di complessità ormai difficile da risolvere. Ciò, forse, è l’esito di una visione un po’ “anni Settanta” del mondo dell’imprenditoria che non corrisponde più alla realtà. L’impresa, da noi, purtroppo, non è più vista come un patrimonio per la società, come il motore dello sviluppo.

Da dove ripartire?
Basterebbe eliminare qualcuno dei molteplici ostacoli di cui, fino a quando l’economia cresceva, non si avvertiva il peso, almeno non come ora. Per esempio, in Italia un’impresa è tenuta ad anticipare al fisco, un anno prima, il 98 per cento delle tasse e non è giusto, va cambiato. Oppure si potrebbe, come da anni un po’ tutti vanno ripetendo, eliminare le agevolazioni e gli aiuti dello Stato per impiegare le risorse nell’abbattimento sensibile del cuneo fiscale. Oppure ancora adottare una seria politica energetica volta a ridurre finalmente i costi di produzione.

@rigaz1

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