La morte di Paty certifica il fallimento della République

Nuove rivelazioni dell'antiterrorismo sull'assassinio islamista del professore francese: sapeva di essere in pericolo, era solo, aveva chiesto aiuto, è stato abbandonato

Parigi. Samuel Paty avrebbe potuto essere salvato? È stato fatto il possibile per proteggere il professore di storia e geografia del Collège du Bois d’Aulne di Conflans-Sainte-Honorine o è stato al contrario abbandonato al suo tragico destino per pusillanimità? Dagli ultimi risvolti delle indagini sulla morte di Samuel Paty, decapitato in strada dal terrorista ceceno Abdoullakh Anzorov, per aver mostrato in classe le vignette su Maometto di Charlie Hebdo, emerge tutta la solitudine e la paura dell’insegnante francese dinanzi alle minacce provenienti dalla galassia islamista.

L’inquietudine e la solitudine di Samuel Paty

Il professor Paty sapeva di essere in pericolo. «L’inchiesta evidenzia la grande inquietudine provata da Samuel Paty dinanzi alla vastità e all’aggressività della polemica», si legge nel rapporto finale dei poliziotti della Sdat, la sezione antiterrorismo della polizia francese, rivelato lunedì dal Parisien. Sei giorni prima di essere ucciso da Anzorov, Paty aveva scritto una mail ai suoi colleghi per informarli che era «minacciato dagli islamisti locali», ma anche per precisare che era «ateo e non battezzato», in risposta alle accuse di islamofobia di due professori dell’istituto che, invece di aiutarlo, lo avevano lasciato in balìa della rappresaglia islamista, condannando il suo comportamento in classe. «Temeva per la sua vita», ha testimoniato un professore di matematica della scuola citato dal Parisien.

Sentendosi braccato, Paty aveva chiesto a quest’ultimo di accompagnarlo a casa (situata a meno di due chilometri dalla scuola, nel comune limitrofo di Éragny) al termine delle lezioni: perché aveva paura di tornare a piedi da solo come era abituato a fare prima dell’affaire delle vignette e della conseguente polemica. «Non lo riconoscevo più. Aveva chiaramente paura (…). Nascondeva il suo volto. Mi ha detto di non lasciarlo davanti a casa sua (…). Non ha parlato durante tutto il tragitto, era chiuso in se stesso», ha dichiarato ai poliziotti il collega di matematica. Altro fatto che conferma la preoccupazione di Paty e la sua solitudine: le sue ricerche su Google.

Le ricerche su Google e un martello nello zaino

Due giorni prima del dramma, scrive infatti il suo nome e cognome sulla barra di ricerca per vedere quali sono le informazioni e le minacce che circolano su internet contro di lui. Il giorno dell’attentato, il 16 ottobre 2020, il docente di storia e geografia pranza con il collega di matematica nella sala professori e gli chiede nuovamente di accompagnarlo a casa dopo i corsi. «Ho dovuto dirgli di no per via della mia agenda. Andava su e giù per la sala professori. Penso che quel giorno non si fosse lavato, aveva una barba che spuntava mentre di solito era rasato», ha testimoniato il professore di matematica.

Gli inquirenti hanno scoperto inoltre la presenza di un martello nello zaino di Samuel Paty, con il quale con tutta probabilità sperava di difendersi, e le immagini di videosorveglianza del 16 ottobre 2020 lo mostrano incappucciato all’uscita da scuola: un modo per provare a nascondersi.

Le colpe dello Stato per la morte di Paty

La sera dell’assassinio, davanti alla rettrice dell’Académie de Versailles, l’addetto alla sicurezza del Collège du Bois d’Aulne ha raccontato agli inquirenti di aver manifestato apertamente la sua frustrazione per il modo in cui è stato trattato Paty. «Le ho chiesto perché nessuno lo aveva protetto. È uscita tutta la mia rabbia…», ha raccontato l’addetto alla sicurezza. Il giorno in cui l’affaire delle vignette ha iniziato a circolare sul web, la scuola è stata ricoperta da una valanga di minacce provenienti da ogni angolo della terra. «Ho ricevuto chiamate da tutto il mondo, Canada, Marocco, Stati Uniti e altri che avevano sentito ciò che era accaduto a scuola», ha dichiarato l’addetto alla sicurezza durante la sua audizione del 29 settembre scorso, ricordando le frasi violente di «tutti i musulmani del mondo», che invitavano a «insultare e a infamare la scuola fino a quando il professore non sarebbe stato licenziato».

Nel dossier Paty sono 14 le persone attualmente sotto inchiesta. Dopo la denuncia della famiglia del professore, è stato aperto in aprile un altro fascicolo giudiziario da parte della procura di Parigi per mancata assistenza a una persona in pericolo e mancato impedimento di crimine. L’avvocato della famiglia Paty, Virginie Le Roy, aveva parlato di «colpe sia da parte dell’Éducation nationale (il ministero dell’Istruzione, ndr) sia da parte del ministero dell’Interno».

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