Meeting Rimini 2012. Ad agosto tutti al cinema

Una sala da 750 posti a sedere per vedere l’anteprima dell’ultimo Pixar e i migliori film della stagione. Ecco la novità della XXXIII edizione

Il pezzo forte sarà l’anteprima di , il nuovo grande film firmato dalla Pixar di Cars e Toy Story, in uscita in Italia il prossimo 5 settembre. Trenta minuti di anteprima esclusiva che i partecipanti del Meeting per l’amicizia dei popoli, potranno gustarsi lunedì 20 agosto nel padiglione D7, trasformato per l’occasione in una vera e propria sala cinematografica. Non sarà l’unica sorpresa per i cinefili che tra domenica 19 e sabato 25 agosto affolleranno la Fiera di Rimini: quest’anno il Meeting offre la possibilità di assistere alla proiezione dei migliori film della stagione a un piccolo prezzo (5 euro). 10 film, divisi in due fasce orarie, una pomeridiana (ore 14.30) in cui troveranno spazio film per ragazzi e una serale (21.30) con titoli adatti a un pubblico più adulto. La rassegna, organizzata dal Meeting in collaborazione con l’associazione Sentieri del Cinema che da un decennio si prodiga per la diffusione del cinema di qualità (furono i promotori di due ottimi film come Katyn e Popieluszko), mette insieme il meglio del cinema d’intrattenimento di questa stagione.

Dopo la proiezione di The Brave, a cui seguirà nella stessa giornata di lunedì 20 agosto una selezione dei migliori cortometraggi Pixar, sarà la volta dell’ultimo film di Martin Scorsese, Hugo Cabret, in programma per martedì 21 agosto. Vincitore di 5 premi Oscar, è un grande film adatto anche ai più piccoli, che coniuga la passione cinefila del grande regista italoamericano con il racconto letterario alla Dickens in cui a illuminare una vicenda pur dolorosa fatta di sconfitte e lutti, è lo stupore del piccolo Hugo (interpretato in maniera formidabile dal giovanissimo Asa Butterfield) di fronte alla magia della macchina dei sogni, ma anche davanti a tanti incontri inaspettati. Sempre nell’ambito del gusto per l’avventura e della scoperta, sarà poi il turno di un altro ragazzino protagonista: l’impavido Tintin nel film Le avventure di Tintin – Il segreto dell’unicorno. Diretto da Steven Spielberg e prodotto da Peter Jackson, il film è pura avventura vecchio stampo, possiede un ritmo vorticoso, ironia e un livello tecnico ineguagliabile. Spielberg, portando sul grande schermo tre albi del fumettista belga Hergé, si rifà ai modelli che avevano già ispirato il suo I predatori dell’arca perduta, vale a dire i vecchi film cappa e spada con Errol Flynn. Ecco allora un eroe impavido, giovanissimo e coraggioso, scenari esotici, continui cambi di scena, ritmo frenetico, uno stuolo notevole di caratteristi a stemperare l’azione (i due keatoniani agenti Dupond e Dupont, quell’incredibile figura del capitano Haddock beone e simpaticissimo). Da una parte, quindi, tutto un repertorio del cinema classico d’azione e di avventura, dall’altra una meravigliosa tecnica a supporto del film. Il mirabile risultato tecnico è ottenuto con tre livelli di lavorazione: il girato in Motion Capture, la traduzione in disegno attraverso il computer e la conversione in un 3D che, per una volta, è un valore aggiunto al film.

 

Delicatezza e divertimento

A chiudere questa minirassegna di cinema per ragazzi altri due gioiellini. Il primo, programmato nella giornata di giovedì 23, è Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento. Animazione delicata prodotta dal leggendario Studio Ghibli di Miyazaki, autore di capolavori come Il mio vicino Totoro e Ponyo sulla scogliera, racconta la vicenda di una famiglia di personcine minuscole, alte pochi centimetri: gli umani li chiamano “gnomi”, loro si definiscono “prendimprestito”. Arrietty, la giovanissima protagonista, vive con mamma e papà sotto il pavimento di una casa di campagna abitata da due anziane donne: per loro fortuna non possono essere visti dagli umani – giganti capaci di incutere timore, dal loro punto di vista – a cui rubano oggetti e cibo per sopravvivere nella loro dimora in miniatura. Ma quando nella casa arriva un ragazzo introverso e malato di cuore di nome Sho, le cose per Arrietty cambiano. Da una serie di racconti per ragazzi della scrittrice britannica Mary Norton (da cui in Inghilterra fu tratto il film con attori “in carne e ossa” I rubacchiotti), Arrietty è un capolavoro per eleganza del disegno e per profondità di racconto. Il tema dell’amicizia tra “diversi” tocca vette di poesia e sensibilità ben lontane dalla retorica di tanto cinema meno sincero: Arietty e Sho possono davvero volersi bene perché si rispettano completamente, nelle loro differenti nature. Tanto da rischiare la vita per affermare la verità della loro amicizia.

Infine, con Pirati! – Briganti da strapazzo sarà l’avventura nei mari a fare da padrona. Prodotto dalla Aardman di Galline in fuga e Wallace & Gromit che da diversi anni a questa parte lavora su un’animazione molto particolare costituita dal dare vita in stop motion a creature e oggetti realizzati in plastilina, Pirati! vanta una confezione perfetta, un’animazione eccellente, ma soprattutto situazioni e personaggi divertentissimi. E un ritmo frenetico, sempre altissimo, che toglie il respiro. La storia è semplice come lo erano quelle dei precedenti lungometraggi Aardman. Capitan Pirata si trova, con molto imbarazzo, a dover fronteggiare la piratessa Sciabola e i due temibili capitani di vascello Gambadilegno e Bellamy, nella consueta premiazione del miglior pirata, una sorta di Oscar assegnato al bandito più talentuoso. In una girandola di vicissitudini che lo porteranno sul vascello di un improbabile e divertentissimo Charles Darwin, Capitan Pirata con una ciurma affezionata e disordinata incontrerà persino la regina Vittoria. Tra umorismo dissacrante ma mai volgare, tante svolte e soprattutto una comicità slapstick in alcuni momenti trascinante, il film scorre leggero e si dimostra adatto a tutta la famiglia.

 

Il Mourinho del baseball

Anche l’offerta dei film per un pubblico più grande è di alto livello. Tre grandissimi film: The Tree of Life, Una separazione, L’arte di vincere; il ritorno di un grande regista come Peter Weir con l’intenso The Way Back e un inedito assoluto, lo splendido Tatarak – Sweet Rush di Andrzej Wajda.

The Tree of Life non ha bisogno certo di presentazioni. Vincitore del Festival di Cannes 2011, l’ultimo capolavoro di Terrence Malick (La rabbia giovane, La sottile linea rossa) è il frutto di un’elaborazione durata più di tre anni. Al centro della vicenda una famiglia texana degli anni Cinquanta vista attraverso gli occhi e i ricordi di Jack, il figlio maggiore: l’amore per la madre (Jessica Chastain), l’affetto tra Jack e i suoi due fratelli minori, il difficile rapporto con un padre severo (Brad Pitt) che cresce i figli con attaccamento ma anche con durezza spropositata. La vicenda, oltre a spostarsi temporalmente dal passato al presente, con la figura di Jack adulto (Sean Penn) che silenzioso percorre luoghi affollati e solitari della città e della natura, apparentemente alla ricerca di qualcosa che plachi un tormento, si intreccia con una visione di incredibile respiro. Malick inizia il film con una voce fuori campo che spiega la differenza tra il vivere secondo natura o secondo la Grazia, tra l’istinto o la compassione, una visione materialistica o religiosa della vita. Intanto sullo schermo scorrono impressionanti immagini della terra e dell’universo, vere o realizzate digitalmente, che accompagnate da memorabili brani di musica classica fanno ripercorrere allo spettatore la creazione del pianeta e dei cieli, della vita in terra e in mare, in un viaggio cosmico e naturale difficile da descrivere, ma che colpisce e lascia attonito lo spettatore. Una sinfonia che pone al centro del suo essere le domande fondamentali del cuore dell’uomo: il rapporto con Dio e la Natura, il dono della Creazione e la contraddizione della morte.

Diverso per stile ma ugualmente serio di fronte alle domande di senso è Una separazione del regista iraniano Asghar Farhadi. Altri premi importanti (L’Orso d’oro al Festival di Berlino 2011 e Oscar come miglior film straniero nel 2012) per un film dallo stile documentaristico. Inizialmente vediamo una coppia benestante alle prese con la separazione: davanti al giudice una donna spiega in realtà che non vorrebbe lasciare il marito ma convincerlo a espatriare, per il bene della figlia undicenne; questa motivazione, dare alla ragazzina migliori opportunità di vita, fa correre un brivido lungo la schiena se si pensa a quello che può aver passato il regista Asghar Farhadi affrontando la temibile censura da parte del suo dittatoriale paese. Il marito non vuole partire, per non abbandonare il padre, malato di Alzheimer. Inizia così il percorso di separazione che dovrebbe portarli al divorzio e che innesca una serie di fatti: per curare il padre l’uomo assume una badante; la donna, oltre a essere ultrareligiosa, è incinta ma non lo vuole dire al marito, un fanatico religioso, disoccupato e violento che non apprezzerebbe certo che la moglie lavori in casa di un uomo sposato; il tutto nonostante siano poverissimi. Tante tematiche – la famiglia, le meschinità personali, il rapporto con la fede e lo Stato, la giustizia – per un film complesso che parla dell’Iran di oggi ma non solo.

L’arte di vincere, di Bennett Miller, racconta invece la storia (vera) di una sorta di Mourinho del baseball, Billy Beane, che riuscì a infrangere ogni record nonostante il poverissimo budget di cui disponeva. È un dramma sportivo insolito perché non racconta lo sport in sé (pochissime le sequenze di baseball giocato), ma cattura l’attenzione dello spettatore grazie alla personalità del manager sportivo, alla sua capacità di gestire i ragazzi, il coach e il rapporto difficile con la proprietà. Scritto straordinariamente da Aaron Sorkin (lo sceneggiatore di The Social Network) ha un cast di lusso su cui svetta un potente e credibile Brad Pitt.

 

L’ultimo capolavoro di Wajda

Per chiudere due inediti, o quasi. The Way Back è l’ultimo capolavoro di Peter Weir, il regista di The Truman Show e Master & Commander, uscito solo lo scorso luglio (il film è del 2010). Basato sul romanzo inedito in Italia The Long Walk di Slawomir Rawicz, un ex ufficiale dell’esercito polacco internato in un gulag siberiano, racconta la fuga verso la libertà di un piccolo gruppo di prigionieri. Un mix tra avventura epica e dramma storico (tutta la prima parte ambientata nel gulag siberiano toglie il respiro) che conferma il talento di Weir e la sua capacità di raccontare il conflitto tra potere e persona, già affrontati nei suoi vari L’attimo fuggente, Un anno vissuto pericolosamente e The Truman Show.

L’evento speciale è costituito da Tatarak – Sweet Rush, l’ultimo film di Andrzej Wajda, totalmente inedito in Italia. L’incipit è folgorante e richiama visivamente molte opere di Edward Hopper: una donna, sola in una stanza, racconta alla macchina da presa gli ultimi dolorosissimi momenti accanto al marito, malato di tumore. La donna è un’attrice di tante pellicole di Wajda, la splendida Krystyna Janda impegnata sul set del nuovo film nei panni di una signora sposata con un medico colpito da un male incurabile. Così, in un’opera sospesa tra la vita e la morte (il film è dedicato proprio a Edward Klosinki, storico direttore della fotografia di Wajda e marito di Janda) il grande regista polacco riflette su temi a sé cari: i fantasmi del passato (come la ferita della guerra, tema dominante in tutto il cinema di Wajda), la morte, la vecchiaia che incombe e la giovinezza, spensierata e ingenua. Un film potente in cui il regista de L’uomo di ferro accompagna con la macchina da presa una donna nella sua prova più difficile: la perdita del compagno di una vita.

Exit mobile version