Meeting. Don Giancarlo Ugolini, lo «strano» prete che cercava la bellezza

Il Meeting ha dedicato una mostra, nel decimo anniversario della morte, al sacerdote che ha dato origine alla comunità di Comunione e liberazione a Rimini

Con 1.500 adulti iscritti alla Scuola di Comunità, Rimini è la seconda comunità di Comunione e Liberazione in Italia dopo quella di Milano. Se una città che conta meno di 150 mila abitanti vanta questi numeri, deve esserci una ragione che pesca nelle origini, e questa origine si chiama don Giancarlo Ugolini, sacerdote al quale il Meeting di Rimini ha dedicato una mostra nel decimo anniversario della morte. La mostra dedicata a colui che a tutti gli effetti è stato l’iniziatore di Gioventù studentesca e poi di Cl nella città di Fellini si intitola “Io, poi, sono un amante sviscerato della libertà”, che secondo il curatore della mostra Valerio Lessi (giornalista e scrittore) va letta insieme a un’altra frase chiave della mostra (una sequenza di una quarantina di pannelli in bianco e nero di due diversi formati, accompagnati da testi), quella che dice: «Ho trovato un uomo che speravo che ci fosse».

L’INCONTRO CON DON GIUSSANI

L’uomo in questione è don Luigi Giussani, di cui Ugolini dice: «L’avvenimento della mia vita è stato l’incontro con il carisma di don Giussani. Una persona precisa, un temperamento preciso da cui è nata la storia di Cl, che è stata data come dono alla Chiesa del nostro tempo». La realtà, però, come si desume dai contenuti della mostra, è un po’ più sfumata e interessante. Don Giancarlo Ugolini diventa sacerdote nel 1951, e viene incaricato di seguire gli studenti dell’Azione cattolica nel 1955. Si rende subito conto della diffidenza della gioventù per le strutture cattoliche ufficiali e allora crea, a fianco della Ac giovani, il gruppo Rimini Studenti. Introduce la novità degli incontri misti, dove ragazzi e ragazze siedono fianco a fianco. Diventa in breve, nelle parole di Valerio Lessi, «il punto di riferimento della gioventù cattolica riminese».

Prerogativa che continuerà a essergli riconosciuta anche nei 15-20 anni successivi, passando attraverso l’esordio di Gs a Rimini nel 1962. Lessi, che lo ha conosciuto nel 1972, sintetizza così le ragioni per cui tanti giovani lo seguivano: «Anzitutto il suo modo di rapportarsi alle persone, improntato alla passione per il destino del singolo: si coglieva che gli importava di te; quindi il fatto che in lui si percepiva che tutto c’entrava col cristianesimo e che da cristiani si poteva vivere ogni realtà umana più pienamente; infine la totale assenza di clericalismo, la certezza di avere a che fare con un uomo, non con qualcuno che incarnava un ruolo». Quelle elencate sono esattamente le tre caratteristiche del carisma di don Giussani su cui tutti concordano, quelle grazie a cui sono nate e si sono diffuse le comunità cielline e si è sviluppata una storia pluridecennale.

UNO “STRANO” PRETE

Merita però di essere messo a fuoco un fatto storico di importanza decisiva: don Ugolini a Rimini, come don Francesco Ricci a Forlì, e alcuni altri sacerdoti in giro per l’Italia, non sono grigi e tormentati burocrati di Azione cattolica che vengono folgorati dall’incontro con don Giussani come san Paolo sulla via di Damasco. La realtà è che già i più umanamente e spiritualmente vivaci e dotati fra i giovani sacerdoti del tempo avevano colto l’inadeguatezza degli schemi dell’Azione cattolica di allora, di cui erano stati nominati responsabili per i giovani, e avevano iniziato gruppi paralleli (Rimini Studenti a Rimini, il gruppo del Termometro a Forlì, Gioventù studentesca a Milano, ecc.) caratterizzati da uno stile di rapporti del tutto nuovo e dalla caratteristica mescolanza di maschi e femmine.

I Giussani, i Ricci, gli Ugolini, i don Pino De Bernardis (Chiavari), ecc. hanno la stessa sensibilità e fanno le stesse cose. Il più carismatico di loro si rivela essere don Giussani, perché gli altri sacerdoti si sentono guardati da lui con lo sguardo che loro avevano sui giovani che incontravano. In lui incontrano lo sguardo accogliente, sfidante e valorizzante che loro avevano nei riguardi dei loro giovani, e che avevano bisogno di avere su di sé.

Senza ripercorrere tutte le vicende della comunità riminese di Cl, che nella mostra sono raccontate in parallelo alla vita di don Ugolini, vale la pena illustrare con qualche testimonianza e con qualche esempio le tre caratteristiche carismatiche dette sopra, che erano un tutt’uno con una personalità ironica e autoironica, culturalmente sofisticata, che diventava irruente e sanguigna quando incontrava un provocatore sincero. Paolo Graziosi, che ha recitato con tutti i più grandi registi italiani e non solo, ricorda: «Fu a scuola, dove insegnava religione, che incontrai per la prima volta questo “strano” prete. Perché strano? Perché non aveva nulla del prete. Ti proponeva un rapporto amichevole, sciolto, scanzonato, quasi da coetaneo a coetaneo. Fu lui a darmi il “la” nella vita che mi accingevo a intraprendere, e anche a distanza di secoli non finirò mai di ringraziarlo».

LA COSTANTE RICERCA DELLA BELLEZZA

Elena Ugolini, preside e pedagogista ciellina, ricorda: «Non ci ha mai detto cosa dovevamo fare, lui ha sempre sfidato la nostra libertà e ci ha sempre suggerito di capire qual era il criterio più adeguato per la nostra vita, cos’era più corrispondente alla natura del nostro cuore. Non si è mai sostituito a noi. (…) Ci ha sempre sfidato, ci ha sempre fatto chiedere il perché, ci ha fatto sempre prendere l’iniziativa». Insieme alla sorella Gabriella crea la Karis Foundation, da cui sorgeranno molte scuole libere nel riminese. Un giorno ha una vivace discussione con una ragazza sulla natura dell’educazione intesa come proposta precisa offerta alla libertà dello studente. «Alla fine mi è venuta a chiedere scusa. Ho replicato: “Non c’è bisogno di scuse”. E lei: “Perché?”. Ho risposto: “Perché adesso ti stimo di più, perché significa che ci sei, che sei qui con tutta se stessa”». Un atteggiamento oggi davvero raro.

Don Giancarlo Ugolini amava il cinema alla follia, sin dagli anni Cinquanta si recava a Venezia in sella al suo Galletto Guzzi per assistere al famoso festival cinematografico. Passava da Fellini ad Almodovar, non esattamente una cinematografia spirituale. Era attratto da ogni forma di bellezza naturale, quella delle Dolomiti come quella del mare della Sardegna. «Una delle prime cose che faceva quando si andava in un posto», racconta Marco Mescolini, «era sguinzagliare tutti noi per cercare posti belli, speciali, dove poter ritrovarsi o dire la Messa. La ricerca di una prospettiva, un tramonto, una luce».

«LA VITA È UN CAMMINO»

Don Giancarlo ha continuato a insegnare nelle scuole fino a 78 anni, cioè due prima della morte nel 2009. Ricordava i nomi di tutti i suoi studenti passati e presenti. Con tutti riprendeva più e più volte il capitolo X de Il Senso religioso di don Giussani. Dava “10” a chi lo imparava a memoria. Così ne riassumeva il contenuto: «Quando l’uomo cerca soddisfazione, cerca risposta alle sue esigenze profonde di verità e di felicità nelle cose, nella realtà. La realtà risponde e il cuore sa cogliere questa risposta e sa giudicare, e il contenuto del giudizio è che la realtà che gli si è data è ultimamente inadempiente. Niente appaga totalmente il mio cuore, ma tutto rimanda ad oltre, più in là. La vita così si svela come un cammino, come un percorso, verso il di più, verso il destino, verso un culmine, verso un Altro da te, un Altro da me da cui dipendo e che mi attende continuamente».

@RodolfoCasadei

Foto tempi.it

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