Marò tornano in India. Patti rispettati. Ma servirà a qualcosa? Il nodo giuridico

Il console italiano in India:«L’Italia ha mantenuto la sua parola». «Piena fiducia nel sistema giudiziario indiano». Ma a giudicare gli italiani, sarà l'India

«Partiamo, mantenendo la nostra parola di italiani, fiduciosi nella giustizia». Così si erano espressi i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, prima di ripartire per l’India, dove sono atterrati questa mattina. I due militari italiani, che, secondo le accuse della magistratura indiana, avrebbero ucciso un anno fa due pescatori al largo delle coste del Kerala, hanno terminato il periodo di “licenza” in Italia, concesso dai magistrati indiani. Nessuna fuga dalla giustizia indiana: «L’Italia ha mantenuto la sua parola e dimostrato di avere piena fiducia nel sistema giudiziario indiano», ha affermato il console generale in India, Giampaolo Cutillo. Però, con tutta la buona volontà della diplomazia italiana, sul piano giuridico e giurisdizionale (chi deve giudicare i due Marò? L’India o l’Italia?) la risoluzione di una questione intricata viene rimessa all’India.

PROBLEMA GIURIDICO. Nessuno dei due paesi vuole rinunciare alla giurisdizione sul caso. L’Italia afferma che dovrebbero essere giudicati in Italia, perché il presunto crimine è avvenuto in acque internazionali, l’India, sulla base di una recente “riforma” del diritto internazionale sulle acque internazionali, sostiene che si tratti comunque di territorio sul quale ha giurisdizione. Sta di fatto che la decisione su chi dovrà giudicare i due italiani dovrà prenderla una Corte Suprema indiana, nei prossimi mesi.

IL RISCHIO. Anche se il rientro in India ha avuto il merito di sfatare i sospetti della gran parte dei media indiani, che paventavano la fuga dei due italiani, dall’altra parte, come avvertiva su queste pagine a dicembre direttore di AnalisiDifesa Gianandrea Gaiani, questa licenza e il relativo rientro potrebbe essere stati passi falsi. Dal principio. Dal momento in cui il governo italiano ha sottoscritto la promessa del rientro dei due militari. Nonostante la Procura di Roma abbia aperto un fascicolo sui fatti imputati ai due Marò, i magistrati italiani hanno infatti deciso di non trattenerli in Italia. Con questa rinuncia, che a molti sembrerebbe influenzata più dalla linea diplomatica che dal diritto, l’Alta Corte del Kerala potrebbe far valere la giurisdizione indiana, in quanto implicitamente riconosciuta sia dall’impegno del governo, sia dalla rinuncia della magistratura italiana.

LA LINEA DIPLOMATICA ITALIANA. “Pacta sunt servanda”, i patti si rispettano, è la legge più importante, per alcuni l’unica, del diritto internazionale, codificata nella vicenda dai due militari nel rispetto della parola data. Ma in questo caso, cosa sarebbe avvenuto, se l’Italia si fosse comportata con quel “realismo” che ha sempre dominato, almeno nella pratica, le relazioni internazionali? Stati Uniti, Regno Unito, Francia avrebbero arrischiato così la propria giurisdizione? E l’India? Saranno in grado i giudici indiani di dare un giudizio corretto, con la correttezza con cui l’Italia ha rispettato i patti, non influenzato dalle pressioni interne e politiche?

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