Bassani, Venier e la libertà di parola in via di estinzione

Anche in università chi esprime opinioni "diverse" viene sanzionato. Il dibattito pubblico rischia di trasferirsi nei tribunali

Tante bolle autoreferenziali incapaci di dialogare e confrontarsi, ma solo di combattersi a suon di denunce e querele. Quella che si sta progressivamente affermando nel nostro paese è una società che inizia ad assomigliare a quella degli Stati Uniti. Dove il dialogo tra posizioni ideologiche differenti è sostanzialmente bandito e dove, a causa del politicamente corretto, opinioni diverse rispetto a quelle “consentite” diventano offese che generano indignazione e risentimento e, di conseguenza, processi.

Marco Bassani e il tweet su Kamala

Certo, non siamo ancora giunti agli estremi d’Oltreoceano, ma alcuni episodi devono essere considerati attentamente per rendersi conto della situazione. Emblematico quello che sta accadendo nel mondo accademico. Si prenda il caso di Marco Bassani, docente di Storia delle dottrine e delle istituzioni politiche all’Università Statale di Milano, che è stato sospeso dall’insegnamento per un mese per aver condiviso e poi cancellato un meme sessista su Kamala Harris.

La condivisione del meme gli è costata la gogna mediatica (anche se la vicenda oggetto dell’ironia – la relazione della Harris con l’ex sindaco di San Francisco, Willie Brown è stata accertata dal fact-checking della Reuters), oltre a una lettera in cui il rettore della Statale ha scritto:

«Quanto accaduto non costituisce un episodio isolato, essendo Sua abitudine (di Bassani, ndr) esprimere pubblicamente sui social network opinioni forti, dal contenuto talvolta estremo».

Opinioni diverse, non “forti”

E cosa sarebbero queste «opinioni forti»? Bassani è semplicemente un libertario che sa usare abilmente la propria penna e colpire con sarcasmo la sinistra liberal e più in generale la sinistra statalista. Nulla di estremo, se non l’amore per la libertà. Altro che opinioni forti. Possono essere ritenute opinioni forti in quanto diverse da quelle che sono prevalenti in gran parte del mondo accademico e sui media; ma dei contenuti estremi, sui profili social di Bassani, non c’è nemmeno l’ombra.

Tra l’altro è interessante notare che, come ha rilevato brillantemente Giovanni Orsina, casi di questo tipo avvengono in università, uno dei luoghi nei quali il confronto tra opinioni “forti” dovrebbe essere incentivato e coltivato. E invece, con il caso Bassani, si assiste a una compressione della libertà di espressione. Nel nome di una correttezza politica che si sta facendo via via sempre più asfissiante, vengono colpiti i docenti che esternano semplicemente le proprie posizioni.

Venier e il tweet su Scampia

Ultimo in ordine di tempo è il caso di Francesco Venier, ricercatore all’Università di Trieste, che dopo un maldestro tweet in cui si chiedeva come dei diciottenni di Scampia avrebbero potuto spendere la dote di 10.000 euro proposta da Letta, è stato bersaglio di diversi strali polemici. Dopodiché l’Università di Trieste ha preso le distanze dal docente con questo tweet: «UniTS prende le distanze dalle inopportune dichiarazioni di Francesco Venier che ha parlato a titolo personale. In quanto luogo di cultura e ricerca scientifica rifiutiamo qualsiasi luogo comune e ogni forma di pregiudizio».

Certo, le perplessità di Venier non sono state esposte con i toni più consoni e con le argomentazioni più efficaci, come ha riconosciuto lui stesso: «Ho usato Scampia come esempio di area difficile in cui quell’intervento non cambierebbe nulla. Purtroppo il tweet era ermetico e usava un cliché. Mi scuso con chi si è sentito offeso». Nonostante le scuse di Venier, il rettore dell’Università in una nota non ha escluso «eventuali procedure e provvedimenti a carico del ricercatore». Un’altra conferma del clima che si sta progressivamente affermando nelle università italiane. D’altronde, come rivelano questi due casi, e se ne potrebbero citare altri, anche in Italia sta prendendo piede una società composta da bolle incapaci di interagire le une con le altre in modo pacifico.

La libertà svanisce in università

E al primo tweet, al primo post o alla prima dichiarazione controversa della bolla avversaria scatta la segnalazione o la querela. Dinamiche che hanno innescato un circolo vizioso che non sembra destinato a interrompersi. Soprattutto se dovessero essere ulteriormente ristretti i margini della libertà di espressione. Con una conseguenza inquietante: dalle piazze reali e virtuali il dibattito pubblico rischierebbe di trasferirsi stabilmente nei tribunali.

Foto di Gayatri Malhotra da Unsplash

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