Un popolo in cammino (con in mente papà)

Una decisione improvvisa, gli incontri in autogrill, il pellegrinaggio da Macerata a Loreto. Fino ai piedi della Madonna per dire la nostra "umanissima speranza"

«Ieri sera alcune persone hanno disdetto. Rimane un posto. Partiamo fra mezz’ora da Lambrate». Che potere può avere una lettera? Per me quello di scegliere in un nano secondo di partecipare per la prima volta al pellegrinaggio Macerata-Loreto.

La mattina dell’11 giugno leggo la lettera di Davide Maddaloni a mio padre. Un sussulto. Poi un attimo di lotta tra il mio dispiacere di non averlo saputo prima e la voglia di andare. Miracolosamente vince la seconda. E via. Qualche messaggino e chiamata a qualche amica per capire se andasse qualcuno che conoscevo. E quella risposta: «Fra mezz’ora a Lambrate. Dai che ce la fai».

Incontri all’autogrill

Non so come, ma sì effettivamente ce l’ho fatta. Alle 10.30 leggevo la lettera. Alle 11.20 ero sul pullman per Macerata. Sei ore di viaggio. Chiacchiero con Katia, la professoressa che mi ha aiutato ad essere lì, e le sue amiche Laura, Betta e Laura. Ci si ferma in un autogrill. E mentre loro si fermano a pranzare in un prato, io ho assolutamente bisogno di un cappuccino.

Al mio bancone si ferma una donna accompagnata dal marito e i genitori. È preoccupata perché la madre si è seduta su una sedia del ristorante senza consumare. Avrà un’ottantina d’anni almeno. Mi colpisce molto la preoccupazione e la paura della figlia che qualcuno si possa lamentare. Il marito e il padre silenziosi. Mi permetto allora di tranquillizzarla: «Non si preoccupi nessuno le dirà nulla». Per distrarla le faccio qualche domanda. Sembra che la signora non vedesse l’ora. Scopro che è di Torino e sta andando una settimana al mare a Cattolica. Qualche parola in più e poi le faccio la battuta: «Allora non si vota al referendum?!». Mi risponde: «Mi sono messa in gioco per il referendum dell’acqua. Ho aiutato a volantinare. E guardi come è andata. Non mi faccio più prendere in giro dai politici».

Non mi va di contraddirla. Non mi sembra un vuoto lamento. Percepisco amarezza e tradimento. Ora mi chiede lei dove sto andando. Le dico del pellegrinaggio e della scelta dell’ultimo minuto. Stupita sorride. Infine salutandoci mi dice: «Grazie per la chiacchierata».

Ora stupita sono io. Per così poco? Ma forse è così. Forse basta poco per alleviare quella paura, quella preoccupazione verso un cinismo e l’indifferenza che dilaga. Penso che sto andando a questo pellegrinaggio anche per quel poco, per quella paura che insidia anche me, per quella signora, per quell’amarezza, per la responsabilità dei politici ma anche per quella di noi cittadini. La ringrazio anch’io e la saluto.

Luigi Amicone al pellegrinaggio Macerata-Loreto nel 2019 (foto Leonora Giovanazzi)

Avendo in mente papà

Devo ancora comprarmi due cose per stasera. Per la fretta non mi sono portata nulla a parte una bottiglia d’acqua, dei pantaloni lunghi, il deodorante, l’acqua termale e il rossetto rosa. Si riparte. Laura mi fa notare che i Tuc appena comprati fanno venire sete. Sempre scelte azzeccate. – Grazie al cielo la sera lei e le altre mi avrebbero saziato con riso e cous cous -. Scrivo le intenzioni che mi hanno mandato alcune amiche e familiari. Un modo per tenerle più impresse lungo il cammino. Leggo i due articoli di mio papà sul pellegrinaggio. Mi vien da ridere quando leggo dell’ideale zaino, anzi zaini, che dovrebbe portarsi il pellegrino in cammino. Sono proprio un’Amicone in queste cose.

Neanche il tempo di chiudere gli occhi e si recita il rosario. Il responsabile del pullman legge la storia del pellegrinaggio. «Questi giovani me li devi curare a uno a uno». Queste le parole di Giovanni Paolo II a monsignor Vecerrica, ideatore del pellegrinaggio, che mi rimangono impresse.

Baldanza e irruenza

Poi la lettera di Davide Prosperi: «L’inizio dell’altrimenti impossibile unità. (…) La figura di Marta ci indica la strada: solo l’incontro con Gesù l’ha cambiata veramente, valorizzando la sua umanità come nessun altro». Mi vengono in mente le parole di Maddaloni, mi viene in mente mio padre: «E così cene, partite alla televisione dove spiccava il tuo “approccio distaccato ai match” (qui ho riso molto), discussioni su tutto: movimento, Milan, politica, e che finivano sempre con grandi risate, insomma un’amicizia vissuta con quel non prendersi troppo sul serio che era tipico tuo».

È quell’”incontro” che ha reso così umano e libero mio padre. Così sempre in azione. Così disponibile agli altri e afferrato dagli altri. Con quell’ingenua baldanza e irruente passione in tutto. Come ha ricordato Carron nella lettera che ha scritto quando il papà è morto, quel “basta”, quel “solo”, quel “è un fatto” detto da Giussani, ha completamente plasmato mio padre che mai è parso moralista ai miei occhi. Anch’io continuo a desiderare quella fede, quel fatto, quell’unità, quella passione, quell’umanità, quella moralità. Quell’azione. Quel cambiamento. Quell’impossibile dentro la mia tremenda confusione e debolezza. Ecco perché mi sono mossa.

È bella la strada. E si parte

Arriviamo a Macerata. Ed essendo solo un migliaio, l’appuntamento è nella bellissima arena di Macerata sorvolata da uno stormo di rondini che per tutta la sera fanno compagnia a noi pellegrini. Ci si accomoda, si mangia. Betta mi dice che quello che sta passando sotto il palco è Maddaloni. In un balzo, mi alzo e gli corro incontro per presentarmi. Mia mamma gli ha già raccontato tutto. Un bel selfie da mandarle. Poi prove dei canti – bellissimi e semplici canti popolari – “Pieni di forza, di grazia e di gloria” non la conoscevo. Si torna bambini cantando questa canzone -, Mina, la chiamata del Papa che chiede di pregare per la pace, pezzi di Giussani. – «la Madonna è come l’invito di un principe». Ma quanto era appassionatamente geniale quest’uomo! – L’arrivo del presidente della Cei Matteo Maria Zuppi, il discorso del sindaco Sandro Parcaroli che letteralmente si mette a piangere mentre dice: «So che sono presenti pellegrini ucraìni. Spero tanto siano presenti anche pellegrini russi».

Poi la testimonianza di Elena Mazzola presidente della ong Emmaus di Kharkiv che riporta un dialogo con una sua ragazza: «Quando è scoppiata la guerra non avevo paura che morissi sotto una bomba. Io avevo paura che tu mi dicessi che se accadono queste cose allora è tutto finto e Dio non esiste». Messa e omelia di Zuppi che mi ricorda l’incontro con la signora dell’autogrill. “Non siamo isole”. Infine sulle note di “È bella la strada” si parte.

Alle finestre le persone salutano i pellegrini e mi ricordano il popolo polacco ed è “come se passasse il giro d’Italia”. C’è addirittura un bassotto che si affaccia. Bambini, ragazzi, donne, uomini, anziani guardano stupiti questo popolo in cammino. Anche io. E pensare che ogni anno camminano insieme centomila persone. Ma chi glielo fa fare. Chi me lo fa fare. Ora realizzo che sto per camminare per 30 chilometri di notte insieme a mille persone. Senza soste. Effettivamente un po’ lunghetto il pre-cammino. Abbiamo già fatto un sacco di cose e siamo appena partiti. Sono già stanca. Ma si cammina. Imperfettamente insieme.

I fuochi d’artificio e l’alba

In queste otto ore canti popolari, ucraìni, rosari, la testimonianza della moglie di Calabresi, preghiere per la fine della guerra, per i malati, per chi non riesce ad avere bambini, per chi è in crisi matrimoniale. Nomi, luoghi. Ed è commovente. Sto camminando anche per gente sconosciuta. E forse per questo e per le intenzioni che ho nello zaino che non ho male alle gambe e piedi – poi tre giorni da zoppa -. Sento più la fatica di dover fare la pipì con le chiappe all’aria e il sonno. Mi aiuta Laura che si tiene al mio braccio per chiudere un po’ gli occhi. Devo per forza stare sveglia. Altrimenti entrambe ci spappoliamo per terra. E pensare che fino a qualche ora fa per me era una sconosciuta.

Esperienza mistica i fuochi d’artificio della ditta Alessi dopo i misteri gloriosi. – Laura mi racconta che il proprietario della ditta era talmente affezionato al pellegrinaggio che scrisse nel testamento che i successori ogni anno avrebbero dovuto fare i fuochi. Pazzesco. – E poi le mille fiaccole che fanno su e giù, il meraviglioso canto notturno e la preghiera a Maria di Leopardi: “Abbi pietà di tante miserie”.

Un’altra esperienza mistica, l’alba. Quel contrasto tra il rosa del cielo e le colline dorate, mi fa sperare. Si è fatti per l’alba. Si è fatti per gli inizi e riinizi. Si è fatti per la bellezza. Me lo dimenticherò già domani. Ma ora mi scoppia il cuore sulle note di “Al mattino”: «Ch’io ti veda, ed è questo il mattino». Mi risveglio dal torpore. Quanto è difficile camminare al buio. Poi penso che se sta nascendo il sole, abbiamo già camminato almeno sei ore. Ho il coraggio di tirar fuori il cellulare. Sono le 04.41. Dai mancano solo due ore.

Le rondini. Eccole

Ed eccole le mie amiche rondini. Sembra che manchino di modestia. Vogliono proprio farsi guardare. Dopo che il miglior cantautore italiano ha dedicato loro una delle canzoni più belle del mondo, come dar loro torto. Eccole planare, rivoltarsi e sfiorare le punte di grano. In sottofondo “una donna molto del sud” che dice: «Guagliò e quando finisce questa ennesima salita?».

Ed ecco che finalmente si vede la cupola della Santa casa di Loreto. E su per i tornanti. Ci sono persone che allungano il passo. Carica ma non esageriamo. Sul primo tornante guardo meravigliata chi canta e suona la chitarra. Per otto ore hanno cantato e suonato camminando. Ed ecco l’ultima discesa sulle continue note di “Pieni di forza, di grazia e di gloria”. C’è chi guarda, aspetta e saluta anche qui.

Nel cielo ad accompagnarci sempre uno stormo di rondini in volo che festeggia il nostro arrivo. Che meraviglia. In lontananza si scorge la piazza del Bramante. “Pieni di forza, di grazia e di gloria”. Eccola è vicina. “Pieni di forza, di grazia e di gloria”. Ecco la Madonna nera di Loreto. “Pieni di forza, di grazia e di gloria”. Sembra proprio di essere stati invitati a corte.

Che viva in eterno questo umano

La Madonna è davanti a me. Non realizzo ancora ma guardo gli occhi lucidi delle mie compagne di cammino. Anche la compagna di viaggio che si è dovuta fermare ora è qui, alla corte della Regina. Uno a fianco a me ha un mancamento. Sarà la gioia. Viene letto l’appello ai presidenti Putin e Zelensky. Infine si recita insieme la preghiera della consacrazione di Russia e Ucraina a Maria.

Ora realizzo. Mi vien da piangere. Grossman scriveva: «Non c’è mai stato un tempo duro come il nostro, eppure non abbiamo lasciato che morisse ciò che di umano c’è nell’uomo». Per questo sono qui. Questo ha voluto dire per me questo cammino. Questo ha voluto dire per me presentarmi davanti a Maria insieme a mille persone e pregarla. Che si avveri tutto quello che abbiamo chiesto in questo cammino. Che viva in eterno questo umano. Questa è la mia umanissima speranza.

Foto Leonora Giovanazzi

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